“Rete di potere, legalità a parole” | Montante, l’accusa della Procura - Live Sicilia

“Rete di potere, legalità a parole” | Montante, l’accusa della Procura

Il Procuratore Bertone: "Un sistema fondato anche sul dossieraggio". Prove non sufficienti per sostenere l'accusa di concorso esterno in mafia VIDEO

PALERMO – “Si tratta di un’indagine complessa. L’accusa è quella di associazione finalizzata alla commissione di reati contro la Pubblica amministrazione, corruzione e accesso abusivo al sistema informatico”. Così il Procuratore capo di Caltanissetta Amedeo Bertone ha aperto la conferenza stampa convocata per descrivere i dettagli della complessa e delicata operazione di questa notte che ha portato ai domiciliari l’imprenditore Antonello Montante oltre a diversi esponenti delle forze dell’ordine.

“Montante – prosegue Bertone – si serviva di persone fidate, tra le quali Diego De Simone, ex funzionario della polizia assunto in Confindustria nazionale che riusciva ad avere informazioni su dati sensibili, come anche i verbali del collaboratore Di Francesco. Durante la perquisizione nella casa di Montante è stato scoperto un file excel, si è potuto verificare che erano annotati gli incontri e i favori richiesti da soggetti appartenenti alle istituzioni. Il prezzo erano alcuni favori promessi o concessi. Montante ha costruito un sistema di potere indossando la veste della legalità, costruendo il sistema Montante”. Bertone fa riferimento anche ai contributi investigativi forniti dall’ex numero due di Confindustria Sicilia, Marco Venturi e dall’ex presidente dell’Irsap Alfonso Cicero. “L’imprenditore Massimo Romano – ha proseguito Bertone – è un fedele alleato di Montante, attraverso le assunzioni di personaggi legati alla Guardia di Finanza che in alcuni casi hanno eseguito verifiche fiscali superficiali nei confronti degli amici, e molto accurate nei confronti di coloro che potevano ostacolare la sua ascesa. C’è anche un rapporto di frequentazione con Arnone, ma la soglia probatoria non è tale da configurare il rinvio a giudizio”. Il Procuratore sottolinea poi che “quaranta persone sono state oggetto di dossieraggio, attraverso l’acquisizione di dati sensibili: si tratta, tra gli altri, di magistrati e giornalisti. I favori concessi? Posti di lavoro per famigliari di esponenti delle forze dell’ordine”.  

Il Questore di Caltanissetta Giovanni Signer ha aggiunto: “L’indagine condotta da uomini della polizia di Stato dimostra che il sistema ha gli anticorpi”. Agli indagati, si legge in una nota della Questura, viene contestato il reato di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di delitti contro la pubblica amministrazione – quali la corruzione e la rivelazione di segreto d’ufficio – e all’accesso abusivo ad un sistema informatico. “L’oggetto principale del procedimento – si legge – va individuato nell’illecito sistema di potere che l’industriale nisseno Antonio Calogero Montante, Presidente della locale Camera di Commercio, ha ideato e attuato nel tempo, grazie ad una ramificata rete di relazioni e complicità intessuta con vari personaggi inseriti ai vertici dei vari settori delle istituzioni. L’odierna indagine ha preso le mosse dalle dichiarazioni rese nel corso del 2014 dal collaboratore di giustizia Dario Di Francesco già reggente della famiglia di Serradifalco, il quale ha fornito specifiche indicazioni sulla ‘vicinanza’ del Montante all’ambiente mafioso nisseno, in particolare a personaggi di spicco dell’organizzazione cosa nostra quali, tra gli altri, i boss Arnone Paolo e Arnone Vincenzo (entrambi uomini d’onore al vertice della famiglia di Serradifalco e testimoni di nozze del Montante), personaggi di cui proprio il Di Francesco è stato a lungo stretto collaboratore, succedendo poi proprio all’Arnone Vincenzo nella reggenza della famiglia mafiosa”.

La nota specifica però che le dichiarazioni anche di altri collaboratori “pur confermando il dato relativo ai diretti rapporti in passato intrattenuti dal Montante con uomini di vertice dell’organizzazione cosa nostra, non sono risultate sufficienti per affermare, in modo processualmente spendibile, la configurabilità del reato di concorso esterno in associazione mafiosa ipotizzato a carico dell’indagato”. Insomma, l’accusa di mafia non è provabile, in questo caso. “Tali elementi – precisa però la Questura – appaiono tuttavia offrire la cornice all’interno della quale incastonare le ulteriori acquisizioni procedimentali, fornendo la corretta chiave di lettura tanto della ‘linea legalitaria’ cui il Montante, a parole, ha improntato la sua azione e di cui si è fatto paladino in seno a Confindustria, quanto di quella rete di relazioni che ha dato vita a quello che è stato definito nel corpo delle richiesta cautelare il ‘sistema Montante’”.

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