La sentenza della Cassazione |Condannato il gotha dei Cappello - Live Sicilia

La sentenza della Cassazione |Condannato il gotha dei Cappello

I "Carateddi" nel 2009 erano pronti a scatenare una sanguinaria guerra di mafia contro i Santapaola Ercolano. Procura e Squadra Mobile sventarono quella faida. Il quadro probatorio dell'inchiesta ha retto davanti al giudizio della Suprema Corte. TUTTI I NOMI

MAFIA-processo revenge
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CATANIA – I colonnelli, i boss e i killer dei “leoni” della mafia non hanno avuto scampo di fronte al “martelletto” della giustizia. Il terzo grado di giudizio ha impresso la parola condanna in maniera indelebile nella fedina penale di quel gruppo di mafiosi, definito dai procuratori di Catania il “ghota” della sanguinaria cosca dei Cappello Carateddi. E’ arrivata la conferma dalla Cassazione del verdetto in appello (ad eccezione di una posizione marginale) del processo, nello stralcio celebrato con il rito abbreviato, dell’inchiesta Revenge. Le condanne vanno da 20 anni per i capi, come Giovanni Colombrita, a due anni per gli uomini, che secondo la ricostruzione degli investigatori, avevano un ruolo secondario. Il blitz Revenge, condotto dalla Dda di Catania ed eseguito dalla Squadra Mobile nell’ottobre del 2009, portò in manette i vertici della cosca Cappello, che con il capomafia Turi Cappello in carcere, era governata da Giovanni Colombrita, Sebastiano Lo Giudice e Orazio Privitera. Il clan aveva in mano floride piazze di spaccio, soprattutto a San Cristoforo. Le intercettazioni però parlavano di incontri strategici: summit che servivano a pianificare la conquista di Catania con “ogni mezzo”. I Carateddi avevano pronti i colpi in canna e nella lista dei bersagli c’erano nomi eccellenti della mafia catanese: Santo La Causa, Sebastiano Mazzei, Enzo Aiello. Il clima di tensione stava per esplodere: la Procura decise di intervenire e sfidò i Cappello quasi ad una corsa contro il tempo: in poche settimane furono pronti i decreti di fermo per 50 soggetti. Alcuni sfuggirono alla retata, ma la loro latitanza durò solo pochi mesi.

I nomi del gotha dei Cappello. Vito Acquavite, Massimo Anastasi, Antonio Arcidiacono, Antonio Aurichella, Domenico Bertelli, Antonio Bonaccorsi, Ignazio Bonaccorsi, Massimiliano Cappello, Salvatore Caruso, Giovanni Colombrita, Francesco Crisafulli, Gaetano D’Aquino, Orazio Finocchiaro, Andrea Giuffrida, Manuel Inserra, Giuseppe Litrico, Rosario Littieri, Giuseppe Salvatore Lombardo, Antonino Marino, Gaetano Musumeci, Sebastiano Fabio Musumeci, Orazio Pardo, Orazio Privitera, Vincenzo Romano, Giovanni Salvo Piero, Salvatore Massimiliano Sangiorgio, Antonio Gianluca Stuppia, Mario Tedeschi, Giovanni Trovato, Santo Tucci, Giacomo Vinci e Michele Vinciguerra. All’appello manca il killer Sebastiano Lo Giudice: Ianu U Carateddu ha scelto di essere giudicato con il rito ordinario. Il processo in primo grado si è concluso con la condanna a 30 anni.

Il reggente “arrobba scecchi”. Era chiamato così il capo indiscusso dei Carateddi. Per usare le parole dei giudici d’appello, Giovanni Colombrita rivestiva “una posizione apicale, riconosciuta ed esercitata direttamente come reggente”. Arrobba scecchi “impartiva direttive, rappresentava la cosca nei summit con esponenti di spicco anche di altri gruppi mafiosi”. Colombrita, senza dubbio, dettava “le strategie negli affari illeciti del clan mafioso”.

La talpa dei Carateddi: Giuseppe Salvatore D’Urso. Lui è il carabiniere infedele. Il canale informativo del clan per quanto riguardava le mosse della polizia giudiziaria. La Squadra Mobile lo ha individuato solo dopo un lavoro certosino di intercettazioni. “D’Urso – scrivono i giudici d’appello – ha svolto, venendo retribuito dal clan, una stabile attività informativa”. Alle orecchie dei Cappello arrivavano “notizie investigative assai rilevanti” e questo permetteva all’organizzazione di difendersi e proteggersi dalle attività della polizia giudiziaria. Una condotta che porta la Corte a contestare al brigadiere il reato di concorso esterno in associazione mafiosa.

Il commento della Procura. “La sentenza della Cassazione conferma in pieno l’impianto accusatorio del processo”. Questo il commento di Pasquale Pacifico, uno dei tre pm, insieme a Giovannella Scaminaci e Francesco Testa, che hanno lavorato all’inchiesta. “Tutto è stato fatto in tempi brevissimi – ricorda il magistrato – nel giro di 20 giorni abbiamo predisposto i fermi. Avevamo elementi che dimostravano che stava per scatenarsi una vera e propria guerra di mafia: i Cappello – dichiara il pm napoletano – stavano pianificando la loro scalata ed era iniziata una faida sanguinaria contro i Santapaola Ercolano. L’omicidio di Raimondo Maugeri ne era la prova. Questa operazione ha anche dimostrato che la sinergia tra Procura di Catania e Forze dell’Ordine è estremamente efficace”. Dal blitz Revenge sono partite anche diverse collaborazioni con la giustizia: Gaetano D’Aquino, Eugenio Sturiale, Gaetano Musumeci sono solo alcuni dei personaggi che hanno scatenato veri e propri terremoti all’interno della mafia catanese, svelando nomi, affari e progetti criminali.


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