08 Settembre 2016, 14:46
6 min di lettura
PALERMO – Un’opera complicata, difficile da realizzare ma ancora di più da gestire, sia per i problemi della ditta che dovrebbe completarla, finita al centro di un’indagine, sia per le quotidiane conseguenze su una grande città che generano polemiche a mai finire, come quelle degli ambientalisti che hanno comportato una variante al Politeama che ancora deve essere approvata. L’anello ferroviario di Palermo, cantiere milionario nato da un’idea datata 2003 e che almeno fino al 2018 terrà in ostaggio residenti, automobilisti e commercianti del capoluogo siciliano, si sta rivelando una vera e propria croce sia per il Comune (ente beneficiario ma col solo compito di chiudere al traffico le aree di cantiere), sia per le Ferrovie dello Stato.
Tutto iniziò 13 anni fa. E’ il 2003, infatti, quando Palazzo delle Aquile sigla una convenzione con le Ferrovie: l’amministrazione comunale vuole chiudere l’anello ferroviario, ha a disposizione i fondi europei ma non ha le competenze o gli strumenti per progettare un’opera ferroviaria così complessa. Ecco perché sigla una convenzione con il gruppo delle Ferrovie dello Stato, una società privata partecipata al 100% dal ministero dell’Economia e che conta al suo interno diversi rami. Rfi, ossia Rete ferroviaria italiana, che ha il compito di gestire i binari di tutta Italia, diviene la stazione appaltante dell’anello; per la progettazione dell’opera e la direzione dei lavori viene invece scelta Italferr, che è il braccio “tecnico” del gruppo. In poche parole, in questa vicenda il Comune svolge il ruolo del mero spettatore: può solo concedere di volta in volta le aree di cantiere, limitarsi a fare qualche appunto, protestare se qualcosa non va per il verso giusto, tentando di evitare un effetto boomerang delle stesse rimostranze dei cittadini che inevitabilmente le indirizzano all’amministrazione comunale.
Tutti gli uomini delle Ferrovie. Ma a dover gestire un’opera così complessa è Rfi guidata oggi a livello nazionale da Claudia Cattani, commercialista e revisore contabile con studi a Chicago e Losanna, che conta poi su vari dirigenti a livello locale tra cui a Palermo spicca, da tre anni a questa parte, l’ingegnere Filippo Palazzo. A Rete ferroviaria italiana spetta la responsabilità generale sull’opera anche se la direzione dei lavori è invece di competenza di Italferr, l’altra società del gruppo che a livello nazionale è affidata al manager Riccardo Monti, nominato appena lo scorso luglio. Italferr a Palermo conta sul project manager Donato Ludovici e sul direttore dei lavori Francesco Zambonelli, anche loro di recente nomina. Ingegneri e tecnici che, in poche parole, si ritrovano a gestire e supervisionare un’opera progettata e strutturata da colleghi che nel frattempo sono stati inviati altrove come il precedente project manager, l’ingegnere palermitano Roberto Romano, che oggi (dopo dieci anni nel capoluogo siciliano) si occupa del nodo ferroviario di Verona.
La bacchettata dell’Anac. Ma gestire l’anello è stata finora un’impresa ardua. L’Autorità nazionale anticorruzione di Raffaele Cantone, per esempio, il4 novembre 2015 redige una deliberazione con cui punta il dito, senza troppi sconti, sul progetto e sull’operato delle Ferrovie. Nel 2006 infatti Italferr pubblica il bando di gara che prevede la progettazione esecutiva e la realizzazione delle opere: a causa di ricorsi al Tar e al Consiglio di Stato, ci vogliono ben tre anni prima che l’aggiudicazione vada a Tecnis con un ribasso del 22,6%. La progettazione esecutiva si rivela però “molto laboriosa”, come scrive l’Anac, tanto che viene consegnata con ben 234 giorni di ritardo. Rispetto al progetto definitivo di Italferr, le differenze sono notevoli: varianti, nuovi prezzi, nuovo programma dei lavori (1402 giorni e non più 855) e un importo dei lavori che, anziché 76 milioni, fa segnare quota 172. Le varianti proposte da Tecnis sono numerose e costose, ma non tutte vengono accettate. Italferr ne approva solo sette e con importi assai ridotti, ammesse perché dovute, secondo la stessa Italferr, a “circostanze impreviste e imprevedibili”.
La lievitazione dei costi. Alla fine le varianti costano “soltanto” 24 milioni: 18 per lo smaltimento terre e inquinanti, 5,5 per l’abbassamento di 2 metri della livelletta della zona portuale per la presenza di sottoservizi, quasi 2 milioni per varianti sottoservizi, 587 mila euro per variante sugli impianti, 791 mila euro per una diversa classe di esposizione cls delle paratie del porto, mentre per due viene addirittura ribassato l’importo (l’eliminazione del binario di collegamento con il porto cala di 2 milioni e l’abbassamento della livelletta in via Amari di 709 mila euro). “In totale – scrive Anac – l’importo di contratto è passato da 76 milioni circa a 104 milioni, con un incremento di 28 milioni pari al 36%”. Peccato però che, secondo l’Anac, non tutte le varianti fossero imprevedibili: “Esse – si legge nella deliberazione – appaiono piuttosto riconducibili a diverse cause, non ultima una insufficiente valutazione dello stato di fatto in sede di progettazione definitiva operata da Italferr spa (in particolare, al censimento dei sottoservizi)”. Con riferimento a quattro varianti (per un totale di 4,6 milioni), l’Anac arriva a scrivere che sono dovute “a una inadeguata valutazione dello stato dei luoghi, segnatamente per quanto riguarda i sottoservizi e quindi, sostanzialmente, ad un errore e/o omissione progettuale. Un dato, questo, sicuramente indicativo di una generale carenza dimostrata da Italferr spa in sede di redazione del progetto definitivo”.
Lo stallo del Politeama. Una volta partiti i cantieri, però, i problemi si moltiplicano. Non appena la Tecnis comincia a tagliare gli alberi di piazza Castelnuovo, per esempio, insorgono gli ambientalisti e il Comune chiede alle Ferrovie di modificare il progetto salvando gli alberi e riducendo la stazione sotterranea a scapito dell’area commerciale. Una variante che Rfi accetta di buon grado e che, in poche parole, consentirà un arretramento dell’area sotto al Palchetto della Musica salvando gli arbusti, ma che ancora non è stata ufficialmente approvata: una parte dei cantieri procederà secondo il nuovo crono programma stilato in Prefettura, ma un’altra dovrà necessariamente attendere la modifica del progetto.
Una gestione difficile. Per non parlare del fatto che Palazzo delle Aquile si oppone a più riprese alla consegna simultanea di tutte le aree (via Crispi, via Amari, il porto, pezzi di via Sicilia, Lazio e Campania, l’area del Politeama), ingaggiando un braccio di ferro e revocando, come nel caso di via Amari, le autorizzazioni pochi giorni dopo averle concesse. Una querelle che vede, suo malgrado, protagonista Rfi che oltre alle pressioni del Comune deve far fronte alle lamentele di residenti, commercianti e ambientalisti. Le Ferrovie, finora, hanno mantenuto un basso profilo: poche dichiarazioni, nessuna polemica, specie nei confronti di altre istituzioni. Ma l’irritazione che filtra è palpabile. Rfi, per esempio, ha risposto picche alla richiesta del Comune di rescindere il contratto con Tecnis: sia per le conseguenze di un contenzioso di ampia portata, sia perché (questa la tesi sostenuta da Rfi) non tutti i ritardi sono colpa del colosso catanese, ma vanno imputati anche ai commercianti e al Comune. Non ultimo il clamore per i lavori in via Crispi che, per la verità, non sono ancora partiti: lì le code sono dovute per lo più al caos generato dai controlli da effettuare prima di accedere al porto, che non si svolgono dentro l’area portuale ma sulla strada. Un po’ come se, per prendere l’aereo, si dovessero passare i controlli in autostrada. L’insofferenza degli automobilisti si riversa però tutta sull’anello ferroviario, considerato la causa di tutto, e quindi, di riflesso, su Rfi che si trova, dopo 13 anni, a gestire una patata che rimarrà bollente per almeno altri due anni.
Pubblicato il
08 Settembre 2016, 14:46