03 Luglio 2014, 06:10
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PALERMO – È un viavai di persone. Di imprenditori e commercianti. Arrivano uno dopo l’altro in caserma, a Bagheria, e alzano la mano, spontaneamente: “Abbiamo pagato il pizzo”. Chiedono aiuto per liberarsi dal giogo mafioso. Il terremoto giudiziario ha innescato la ribellione sociale. Perché di ribellione si tratta.
Nel popoloso centro alle porte di Palermo si assiste a un incoraggiante effetto domino. Merito più che mai del lavoro dei magistrati e delle forze dell’ordine. Nel maggio 2013 i carabinieri assestano il primo duro colpo al mandamento. Ventuno persone finiscono in carcere nel blitz Argo. Viene fuori che il pizzo da quelle parti è un fenomeno endemico. Tra Villabate e Bagheria si era assistito ad un’escalation di incendi, danneggiamenti e violenze contro commercianti e imprenditori. Poi, qualcuno decise di denunciare gli aguzzini.
La velocità delle indagini ha fatto il resto. Dieci mesi dopo, a marzo scorso, è iniziato il processo. L’attività investigativa, però, non si è fermata anche perché nel frattempo a Bagheria si era pentito Sergio Flamia, un boss che conosce la storia mafiosa di un’intera provincia. Conosce gli autori di decine di delitti ma anche la lunga, lunghissima lista degli imprenditori che negli anni hanno pagato la messa a posto.
I primi giorni di giugno, un nuovo blitz: 31 arresti. In manette finiscono gli uomini della nuova Cosa nostra che, assieme ai boss palermitani, avevano costituito un direttorio provinciale. I palermitani hanno capito che bisogna dialogare con i boss della provincia per serrare i ranghi dell’organizzazione. I carabinieri, coordinati dal procuratore aggiunto Agueci e dai sostituti Malagoli e Mazzocco, riscontrano il quadro accusatorio grazie ai collaboratori di giustizia Sergio Flamia ed Enzo Gennaro.
Tra i vecchi boss sempre in auge, dopo avere scontato lunghe condanne, ci sarebbero Giuseppe Di Fiore e Nicolò Greco. Il primo sarebbe il braccio operativo del secondo, considerato la testa dell’acqua. Quando Di Fiore venne arrestato, nel 2005, nel doppiofondo del comodino di casa nascondeva la lista dei commerciante da mungere con il racket.
Dieci anni dopo la storia si è ripetuta. Il pizzo lo hanno pagato in 44. Nella lista degli estorsori ci sono agenzie di scommesse, autofficine, commercianti di pesce e una trentina di imprenditori edili. “Un dato importante, mai accaduto prima”, così il comandante provinciale dei carabinieri Pierangelo Iannotti commentò il fatto che venti imprenditori avessero deciso di rompere il muro dell’omertà.
Poi, si è sparsa la voce che un altro uomo del pizzo, Benito Morsicato, ha deciso di collaborare con la giustizia. Una sequela di fatti che ha scatenato l’effetto domino e il viavai in caserma. Una quindicina fra imprenditori, commercianti e piccoli negozianti hanno alzato la mano. E hanno riferito su estorsione finora sconosciute agli investigatori. Alcuni si sono già rivolti alle associazioni antiracket. Ecco perché non è azzardato dire che di ribellione si tratta.
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03 Luglio 2014, 06:10