29 Novembre 2023, 05:01
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CATANIA – La scadenza c’è: 29 agosto 2025. Entro quella data dovrà essere realizzato, a Catania, un grande impianto per il “trattamento di terreni contaminati“. Da farsi in contrada Grotte San Giorgio, su un terreno di 40mila metri quadrati sullo stradale Primosole. Il progetto è di una vecchia conoscenza del settore dei rifiuti in Sicilia: la Eta Owac srl. Una creatura nata dalla fusione tra le società Eta service e Owac srl, che adesso orbita nella multiforme galassia di interessi della famiglia Caruso di Paternò.
L’impianto di Grotte San Giorgio dovrebbe servire a bonificare terreni altamente contaminati da composti organici (come gli idrocarburi) e inorganici (per esempio, i metalli pesanti). Con potenzialità di trattamento, nelle due sezioni in cui è diviso, fino a 150mila tonnellate l’anno. Una svolta, stando alle schede presentate alla Regione Siciliana per ottenere l’autorizzazione. La struttura sarebbe capace di “convertire un rifiuto pericoloso in non pericoloso, incentivando così le operazioni di bonifica, spesso troppo costose e ambientalmente onerose“.
“Il processo, attraverso l’utilizzo di opportuni reagenti, cemento e acqua, blocca i contaminanti anche più pericolosi e difficili da trattare, quali il cromo VI, l’ammoniaca, l’arsenico e il mercurio”, si legge sul sito della Owac Engineering Company, la società di consulenza ingegneristica che ha redatto il progetto. Sede a Palermo, dove ha progettato e gestito il revamping del TMB di Bellolampo, Owac Engineering Company ha il centro dei suoi interessi tra la provincia di Siracusa e quella di Catania. Qui si è occupata, tra le altre, cose, dell’impianto di biostabilizzazione della Sicula Trasporti.
In realtà, ai terreni contaminati e al loro trattamento a Grotte San Giorgio le aziende Eta service e Owac srl, ai tempi ancora separate, pensano almeno da febbraio 2012. Data in cui hanno presentato la prima richiesta di Autorizzazione integrata ambientale per questo impianto. Nel 2015 l’assessorato regionale Territorio e ambiente rilascia la Via (Valutazione di impatto ambientale) con parere positivo; l’anno successivo, a novembre 2016, arriva l’Aia. I “terreni contaminati” che, da autorizzazione, possono essere trattati dall’impianto sono rifiuti corrispondenti a diverse centinaia di codici CER. Cioè i numeri che, da Catalogo europeo dei rifiuti, identificano un tipo di scarto in particolare.
Così nello stabilimento saranno trattati i rifiuti prodotti durante le fasi di estrazione nelle cave, quelli dell’industria tessile e del trattamento dei pellami, gli scarti delle “operazioni di bonifica di terreni e risanamento delle acque di falda” e quelli della raffinazione del petrolio. Ci saranno anche i rifiuti delle operazioni di eliminazione dei rifiuti: cioè i residui dei processi di incenerimento e i fanghi prodotti dal trattamento delle acque reflue urbane e industriali. Su un terreno a uso agricolo, che ha cambiato destinazione con l’Autorizzazione integrata ambientale del 2016, sorgerà una macchina perfetta che fa sparire l’immondizia che tutti gli altri processi non sono in grado di fare sparire.
Di problemi ambientali, secondo i proponenti, non ne esistono: nella relazione allegata al progetto, la società Eta Owac sottolinea che sì, è vero che ci sono altri impianti di trattamento dei rifiuti nella zona. Ma è vero anche che il confine dell’Oasi del Simeto dista più di due chilometri. E almeno un chilometro sono lontani i primi siti Natura 2000 più vicini e altrettanto le “aree importanti per l’avifauna”.
Nonostante l’assenza di ostacoli e un’autorizzazione di durata decennale rilasciata ormai sette anni fa, l’impianto ancora non c’è. Eppure la Via, Valutazione di impatto ambientale, datata luglio 2015, diceva espressamente che “il progetto dovrà essere realizzato entro cinque anni dalla pubblicazione del presente decreto”. E cioè entro luglio 2020. A gennaio di tre anni fa, però, la società chiede una proroga della validità dell’autorizzazione di ulteriori due anni, “considerata la notevole complessità impiantistica”. La scadenza del 2022, però, viene prorogata ancora una volta perché di mezzo c’è una pandemia. Lo stop alle imprese provocato dalla diffusione del Covid-19 fa slittare tutto di un altro anno: la Via vale fino a luglio 2023.
Nel frattempo, a gennaio 2022, Eta Owac presenta la richiesta per la “verifica di ottemperanza” alle imposizioni della Via. Cioè la dimostrazione di avere inserito nel progetto esecutivo elementi in grado di rispettare le prescrizioni di carattere ambientale (per esempio: misure di compensazione o mitigazione dell’impatto dell’opera in costruzione). La Regione dà il suo placet a maggio 2023. Ed è cavalcando questo ritardo (gli uffici palermitani ci mettono 14 mesi a rispondere) che i privati chiedono un’ulteriore proroga: altri 24 mesi, visto che l’allungarsi dei tempi “certamente non è dipeso dalla volontà della scrivente”, più un mese ulteriore per la verifica di ottemperanza delle prescrizioni dell’Aia, ancora in corso. Totale: 25 mesi di proroga. Esattamente la “durata stimata dei lavori per la messa in esercizio dell’impianto”.
Affinché questa richiesta dei privati trovi una risposta, bisogna aspettare ancora cinque mesi. Solo mercoledì scorso, il 22 novembre 2023, l’istanza viene accolta e viene stabilita una nuova scadenza. Il termine ultimo per la realizzazione dell’impianto per il trattamento dei terreni contaminati di contrada Grotte San Giorgio è il 29 agosto 2025. Quando alla scadenza successiva, stavolta quella dell’Aia, mancherà poco più di un anno.
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29 Novembre 2023, 05:01