08 Gennaio 2014, 18:03
3 min di lettura
PALERMO- Sul caso delle minacce di Totò Riina al pm di Palermo Nino Di Matteo emerse da un’intercettazione di un dialogo in carcere tra Riina e un altro detenuto, Alberto Lorusso, e soprattutto sul come come questa notizia sia trapelata “non mi risulta che sia stata aperta un’inchiesta amministrativa interna: non credo che ci sia”. Lo ha detto il capo del Dap, il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino, sentito in Commissione antimafia.
Riina, ha spiegato Tamburino, fece “gravi minacce” al direttore del carcere di Opera dove era detenuto e “io ne fui informato dalla Direzione detenuti e trattamenti. Per questo avevamo già avviato l’iter per l’applicazione del 14 bis a Riina”, la misura per inasprire la sorveglianza sui detenuti. “La richiesta, che è sempre sottoposta al controllo giurisdizionale, è stata fatta nel novembre 2013”, ha detto il capo del Dap, negando che il 14 bis non si possa applicare ai detenuti in 41 bis, cioè in regime di carcere duro: “Il Dap – ha detto Tamburino – non può aver risposto che non lo applica, perché lo fa e io stesso ho firmato diverse applicazioni”. “Per una coincidenza temporale – ha detto ancora Tamburino – quando siamo venuti sapere delle minacce al direttore del carcere è emersa sulla stampa anche la notizia delle minacce a Di Matteo”.
Riguardo ai rapporti di Riina con altri detenuti all’interno dei cosiddetti gruppi di socialità, Tamburino ha spiegato che questi gruppi “per i detenuti in 41 bis sono di 4 persone, gli abbinamenti vengono fatti dalla direzione generale detenuti, ma viene sempre sentita l’autorità giudiziaria, ed è avvenuto anche anche per l’abbinamento Lorusso-Riina. Non mi risulta inoltre che Lorusso sia mai stato in abbinamento con il figlio di Riina”.
Le intercettazioni
“Se sono state disposte delle intercettazioni in un carcere di massima sicurezza, io non lo so ed è giusto che sia così. Non mi risulta – ha detto inoltre Tamburino – che Riina sapesse di essere intercettato, non ho elementi da cui si possa ricavare. E’ un’ipotesi possibile, forse anche verosimile. Ma dai dati che ho non si può dire”, ha spiegato Tamburino, al quale i parlamentari, a iniziare dalla presidente della commissione Rosi Bindi, hanno chiesto come sia uscita la notizia delle minacce. Bindi si è detta “molto sorpresa” del fatto che il capo del Dap affermi di non essere al corrente di intercettazioni effettuate in un carcere, cioè in un ambito sotto la giurisdizione del Dap, su un detenuto in 41 bis. E perplessità hanno manifestato anche diversi commissari.
“Le notizie apparse sulla stampa” sulle minacce di Riina a Di Matteo, ha affermato Tamburino, “rappresentano l’esito di un’attività giudiziaria. Quando ho partecipato al comitato sulla sicurezza convocato a Palermo, a cui hanno preso parte anche molti magistrati siciliani, lì ho avuto la certezza che questi fossero dati noti all’autorità giudiziaria di Palermo e Caltanissetta”. Ma “l’autorità amministrativa”, per cui è competente il Dap rispetto alle carceri, “è separata da quella giudiziaria”. Se da una parte, quindi, “gli agenti sono tenuti a informare l’autorità giudiziaria di tutti gli elementi utili”, dall’altra “io non vengo informato dell’attività giudiziaria in corso e non mi informo, è giusto che sia così: per garantire la riservatezza delle indagini, meno sono a sapere e meglio è”. “E non mi risulta – ha aggiunto – che ci siano state fughe di notizie per un’attività informativa di competenza amministrativa”.
(Fonte ANSA)
Pubblicato il
08 Gennaio 2014, 18:03