Ninetta, Salvuccio e gli altri| La saga dei Riina

di

10 Aprile 2016, 06:11

5 min di lettura

PALERMO – Donna Ninetta almeno un figlio maschio lo voleva salvare. E così, raccontavano alcuni boss, aveva detto a Salvuccio, “il figlio del corto… di non uscire… non si deve immischiare al di fuori delle cose di casa sua…”. Correva l’anno 2008.

Ninetta Bagarella pare esserci riuscita. Giuseppe Salvatore, detto Salvuccio, dopo avere scontato otto anni e mezzo di carcere per mafia è finito seduto sulla comodissima poltrona di Porta a Porta. Niente a che vedere con l’angusta cella in cui è rinchiuso l’altro figlio, Giovanni, sepolto dal peso del fine pena mai. In carcere ci resterà per il resto dei suoi giorni. Deve scontare l’ergastolo per quattro omicidi. Giovanni è un predestinato in negativo. “Fagli vedere come si fa”, gli diceva il padre per dimostrare quanto fosse bravo Giovanni, nonostante la sua manciata di anni, a tenere in mano la pistola. Era una riunione di mafia. E quel folle gesto gli rimase dentro. La sua carriera criminale comincia quando, dopo l’arresto del capo dei capi, la famiglia Riina lascia la bella villa di Palermo per tornare a vivere a Corleone. Piccoli gesti di esuberanza, poi il battesimo criminale voluto da un altro cattivo maestro, lo zio Luca Bagarella. Una corda al collo per strangolare un traditore, uno sbirro. Stringeva forte Giovanni, la vittima non ebbe scampo. Era il 1995. Due anni dopo Riina jr sarebbe entrato in carcere per restarci fino alla fine dei suoi giorni. Di omicidi sulla coscienza ne ha quattro.

Salvuccio, invece, è un uomo libero. Vive da sorvegliato speciale perché è considerato socialmente pericoloso, lavora in una Onlus di Padova, scrive libri e parla di mafia. Lo fa di riflesso, come se fosse stato solo uno spettatore del padre, amorevole con lui e i fratelli e satanico con tutti i nemici, sterminati a tappeto. Salvuccio, però, non si è limitato ad essere il figlio di Riina. Mafioso lo è stato pure lui come sancito dai giudici che lo hanno condannato per mafia ed estorsione. “Faceva parte di Cosa nostra e aveva messo in piedi un piccolo clan che operava tra Corleone e Palermo”, diceva di lui il procuratore generale della Cassazione.

Nelle intercettazioni di allora si rammaricava di una stagione, quella del padre, ormai passata: “… di pizzo… allora noi altri oggi neanche possiamo fare l’uno per cento”. Del padre, però, gli erano rimasti gli insegnamenti. Quelli della “linea dura”. Niente pentimenti, “noi ci mangiamo la galera”. In macchina parlava degli eccidi del ’92: “A maggio ci fu sta strage, a luglio l’altra e poi a gennaio hanno arrestato a mio padre”. E chissà come sarebbe andata a finire se non lo avessero arrestato “perché noi le corna gliele facevamo a tutti – diceva – … e dirgli ‘qua in Sicilia ci siamo noi’, forse da là sopra in poi ci siete voi, ‘ma cca semu nuatri'”. Salvuccio era ben cosciente di ciò che era accaduto. 

Fra un impegno processuale e l’altro, i Riina hanno aperto e vissuto parentesi di normalità. Nel 2008, vista l’assenza forzata del padre, Salvuccio accompagnò all’altare la sorella Lucia, la picciridda di casa, il giorno delle nozze con Vincenzo Bellomo. Il futuro marito l’aspettava in chiesa a Corleone, nella piazza che porta il nome dei giudici Falcone e Borsellino. Qualcuno durante la cerimonia si ricordò di chi non poteva esserci: “Il nostro pensiero va per chi non è qui oggi, Salvatore, Gianni, Leoluca”. Ovvero, Salvatore Riina, il figlio Giovanni, lo zio Leoluca Bagarella, tutti condannati al carcere a vita. In chiesa c’era pure zio Gaetano, fratello di Totò, condannato per mafia. Dopo l’arresto del capo dei capi ne aveva preso il posto. Nella sola Corloene, però.

Anche Lucia, qualche anno fa, fece parecchio discutere quando raccontò a una televisione svizzera il suo mestiere di pittrice. Anche lei come Salvuccio, ricordò la sua infanzia, l’assenza della scuola, gli insegnamenti della madre. Il periodo nel quale imparò a leggere e scrivere senza potere mettere piede fuori da casa. Lucia Riina non ha mai preso le distanze dalla proprie origini, anzi. Anche sul sito in cui mostra i suoi disegni si presenta così: “Sono Lucia Riina, ultimogenita di Salvatore Riina ed Antonina Bagarella, sorella più piccola di Maria Concetta, Giovanni e Giuseppe Salvatore, quindi anche nipote di Leoluca Bagarella”. “Noi siamo cattolici quindi io voglio bene a mio padre e a mia madre”, diceva all’intervistatrice.

Più anonima la vita della sorella Maria Concetta, che qualche anno fa si trasferì a vivere a San Pancrazio Salentino, per occuparsi di un vigneto assieme al marito Tony Ciavarello. Un personaggio che alcune inchieste del passato hanno accostato ad affari pochi chiari. Nel corso di un’inchiesta saltò fuori un retroscena che probabilmente lo riguardava. “Il latitante non poteva incontrarlo”, diceva Vito Gondola. Persino uno dei Riina dovette incassare il grande rifiuto di Matteo Messina Denaro. Lorenzo Cimarosa, cugino del latitante trapanese, disse di avere saputo che “il genero di Riina” aveva cercato di contattare il boss di Castelvetrano, rivolgendosi a Gondola, l’ultimo gestore della stazione di posta di Messina Denaro. Cosa ci fosse di tanto urgente da discutere non si è mai saputo.

Magari si doveva parlare di affari. “Io investivo da fare tremare i muri”, diceva d’altra parte Totò Riina in carcere, durante i colloqui con il compagno di cella Alberto Lorusso.  “Perché se recupero pure un terzo di quello che ho sono sempre ricco”, aggiungeva il capo dei capi, facendo riferimento anche ad alcuni terreni. Nel 2012 saltò fuori che i Riina vantavano una sorta di diritto di proprietà persino su alcuni appezzamenti di terra poco distanti da Ficuzza e lungo la strada che conduce a Corleone. Campagne intestate alla Mensa arcivescovile di Monreale e alla Parrocchia Santa Maria del Rosario. Le intercettazioni ci dissero che di una contesa per il pascolo erano stati informati “Salvuccio”, “la signora” e “Franco”. Che vennero identificati in Giuseppe Salvatore Riina, donna Ninetta Bagarella e Francesco Grizzaffi, nipote del padrino, arrestato, condannato per mafia, scarcerato nel 2012 e sorvegliato speciale. Perché quando c’è di mezzo un Riina bisogna portare rispetto. 

Pubblicato il

10 Aprile 2016, 06:11

Condividi sui social