Rischio povertà e rebus sussidi| Ecco la Sicilia descritta nel Defr

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26 Ottobre 2018, 18:23

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PALERMO – Gli ultimi dati allarmanti sullo stato dell’economia siciliana sono raccontati nelle carte ufficiali del governo regionale. La Sicilia non è mai uscita dalla crisi economica del 2007: è la prima regione in Europa per numero di persone a rischio di povertà o esclusione sociale (52,1%) ed è, dopo la città autonoma spagnola di Ceuta in Marocco, la seconda per percentuale di persone che vivono in famiglie con livello di intensità di lavoro molto basso (23,7%). E in una regione dove l’assenza di lavoro è il principale problema sotto accusa va la politica dei sostegni al reddito.“Due terzi dei percettori di sussidi non cercano o non sono disponibili al lavoro”.

Così, nella nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza regionale (Defr) in cui la giunta elenca tutte le politiche di spesa e di crescita che intende realizzare, non manca l’analisi della complessa situazione in cui il governo guidato da Nello Musumeci è chiamato a muoversi. Per buona parte del documento i protagonisti, sono infatti, gli elementi che influiscono e riducono la capacità di sviluppo delle politiche del governo regionale: i conti in rosso, la compressione della spesa pubblica, le nuove stime di crescita del Pil (Prodotto interno lordo nazionale e cioè il valore di tutti i beni e servizi finali prodotti all’interno della nazione in un dato anno) proposte dal governo Conte.

C’è poi l’incertezza su quanto costeranno alla Regione le politiche dell’esecutivo giallo-verde con specifico riferimento alla riforma fiscale che dovrebbe introdurre la Flat tax e alla riforma del sistema pensionistico, meglio conosciuta come ‘quota cento’. “Non risultano ancora noti nel dettaglio – commenta il governo – gli effetti economico-finanziari di alcune delle opzioni che connotano le scelte di politica economica, che sono destinate – prosegue la nota al Defr – a riverberarsi sull’autonomia della Regione”.

Ma nell’Isola il dramma principale è quello che riguarda il lavoro. Due persone su dieci lavorano irregolarmente. E il lavoro nero si attesta a sette punti percentuali in più rispetto alla media italiana. In totale i lavoratori irregolari sarebbero stimati per circa 300mila persone, 215mila delle quali impiegate nei servizi. Nel settore dell’agricoltura i tassi di irregolarità superano il 35%. Nonostante i dati sull’occupazione facciano ben sperare rimane alto il numero di coloro che non cercano lavoro. Il tasso di occupazione rispetto al terzo trimestre del 2017, nello stesso periodo del 2018, è cresciuto dello 0,6% (da 40,7 a 41,3) e il tasso di disoccupazione ha un andamento costante che vede crescere il numero dei disoccupati dell’1 per cento (dal 20,4 dell’anno scorso al 21,4 per cento di quest’anno).

In Sicilia così ci sono più occupati e più persone che cercano lavoro malgrado non lo trovino ma senza “la grande disponibilità di incentivi la metà dell’occupazione aggiuntiva non esisterebbe”. Sarebbero così necessarie politiche attive per il lavoro come i tirocini formativi mentre risultano a parere della giunta fortemente negative le politiche passive. “In una regione come la Sicilia, nella quale due terzi dei percettori di sussidi non cercano o non sono disponibili al lavoro – sostiene la nota -, non sembra essere il corretto presupposto per favorire un cambio di tendenza del mercato del lavoro regionale”. Il riferimento sembrerebbe quello al reddito di cittadinanza che, così si potrebbe leggere fra le righe, per lo sviluppo della Sicilia potrebbe essere dannoso.

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Tutti questi dati “impongono – per stare alle parole della relazione firmata dal governatore Musumeci e dal responsabile per l’Economia Armao – uno sforzo straordinario da parte del governo” che si ritiene chiamato ad elaborare misure di sostegno allo sviluppo. Palazzo d’Orleans, inoltre, reputa necessario un confronto istituzionale e sociale che “in questo primo anno, nel quale si sono dovute affrontare molte questioni lasciate aperte dalla precedente gestione, ha iniziato a dispiegarsi e che entrerà nel pieno nel secondo anno della legislatura”. Frase che sembra guardare al recente passato targato Crocetta.

Il 2019 sarà così l’anno delle riforme strutturali, promesse da Musumeci, che lentamente hanno preso forma nelle votazioni della giunta e che aspettano di essere discusse dall’Assemblea regionale siciliana. Riforme che vengono ancorate alla legge di stabilità e così elencate: rifiuti, riordino delle Ipab (Istituti di pubblica assistenza e beneficenza), semplificazione amministrativa, diritto allo studio, ex Province, pesca mediterranea e identità ed economia del mare. E infine ci sarebbe anche un disegno di legge per gli investimenti in materia di informatica, banda larga e digitalizzazione. Nel documento, inoltre, spazio alle riforme già formulate dal governo e non ancora avviate: la nascita dell’Irca, le nuove norme per il controllo delle Società in house e la trattativa per il riconoscimento degli svantaggi e delle misure compensative connesse all’insularità.

Infine, ci sono le cifre sugli investimenti per lo sviluppo con i fondi (regionali, statali ed europei) che la Sicilia ha a disposizione: dal Fesr ai fondi per la politica agricola comune fino alle risorse per del Patto per il Sud. Nei prossimi quattro anni la Regione prevede di immettere nell’economia siciliana 9,1 miliardi di euro: 2,8 miliardi nel 2018, 2,5 nel 2019 e 2,1 nel 2020. La programmazione europea dovrebbe continuare nel 2021, quando gli investimenti dovrebbero ammontare a 1,5 miliardi.

Da questi investimenti “ne scaturisce un quadro programmatico di crescita del Pil reale corrispondente all’1,7% nel 2018, all’1,5% nel 2019, all’1,5% nel 2020 e all’1,2% nel 2021 – le parole di Armao -. E cosi superati i 90 miliardi di euro nel 2021 si potranno raggiungere i 100 miliardi di euro per valore nominale del Pil. Il 2021 – ancora il vicepresidente della Regione -, in cui si prevede una flessione delle previsioni di crescita, sarà anche l’anno di avvio della nuova programmazione per la quale dovrà essere evitata la stasi iniziale di investimenti registrata nel periodo 2014-2020, sopratutto concentrando la spesa di fondi extraregionale di fonte statale”.

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