Il testamento di Agnese Borsellino

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21 Novembre 2013, 19:53

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PALERMO- A pagina venticinque si legge: “Un sole bellissimo entra dalle finestre di casa nostra”. E’ la voce di Agnese Borsellino che parla per la penna del giornalista Salvo Palazzolo. Leggi. Resti per un attimo accecato dalla luce che brilla oltre il foglio. E pensi che nemmeno quella luce è stata tutta e solo di Agnese. Nemmeno suo marito, i suoi figli, il suo affetto, la sua memoria. Niente è stato solo e tutto, completamente suo.

Agnese Piraino Leto in Borsellino, con la sua famiglia, ha subito un’esposizione che avrebbe evitato, se avesse potuto scegliere un destino differente. Come moglie di Paolo, compagna di un magistrato, di un uomo delle istituzioni. Come vedova nazionale, dopo la strage del ’92. Non ha potuto piangere in pace le lacrime di via D’Amelio, né le è stato concesso di affidarsi al tempo che non ricuce gli strappi, ma offre un tremendo sollievo. Per Agnese non è andata così. I suoi ricordi sono diventati un affare di Stato. I suoi occhi sono stati scandagliati da balenieri a caccia di segreti nascosti, di scoop o di silenzio. Le sue frasi sono state soppesate, radiografate, setacciate in una perenne analisi del sangue. Il lutto di una donna che perde il compagno di una vita si è mescolato all’esecrazione, alla rabbia, alle dimenticanze di un Paese intero. E’ stato il riflesso nello specchio pubblico di coscienze più o meno sporche.

Eppure, questa signora all’apparenza di vetro soffiato – lieve, impalpabile – ha dato prova di una forza smisurata. Ogni suo accento reca un carico di amore e di esempio. Agnese è riuscita a tollerare tutto, senza perdere se stessa. Rimanendo davvero se stessa, ha condotto alla ribalta la sostanza: l’identità di una persona sincera, capace di difendere Paolo nel suo cuore, condividendolo.

Il dono ha affascinato tantissimi che le sono rimasti accanto fino all’ultimo respiro. E si è incrociato con i passi di Salvo Palazzolo, cronista di ‘Repubblica’. E’ nato “Ti racconterò tutte le storie che potrò”, il testamento che la signora Borsellino ha consegnato alla storia e alla sua biografia, prima di morire.

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“Ho deciso di fare questo racconto una mattina, una di quelle mattine che avrebbero reso felice Paolo. Mentre sorgeva il sole, lui si accorgeva di un nuovo germoglio nelle piante sistemate con cura sul balcone della nostra casa di via Cilea. Sorrideva, rideva anche di gusto. Quante volte l’ho guardato strano in quelle mattine. Gli chiedevo: ‘Paolo a chi sorridi’? Mi diceva: ‘Sorrido a fratello sole, perché oggi ci donerà un’altra bella giornata’ E accarezzava i nuovi germogli: ‘Sai, Agnese’, sussurrava, ‘sono un uomo fortunato, perché alla mia età riesco ancora ad emozionarmi’.”

Erano i giorni sereni in quel balcone di via Cilea. Quando il cerchio cominciò a chiudersi, Paolo Borsellino perse il suo buonumore. Un giudice prigioniero, costretto a sfuggire di soppiatto alle premurose attenzioni della scorta, per regalarsi un quarto d’ora dal barbiere o per comprare il giornale sotto casa, quasi sperando che i sicari lo cogliessero lì, evitando il massacro agli uomini e le donne che lo proteggevano.

Manfredi, figlio di Agnese e di Paolo, ha scritto nella prefazione: “C’è tutto questo e molto altro ancora nelle pagine che ci hai lasciato in dono: non sono una biografia, una raccolta di testimonianze o una ricostruzione storica di eventi più o meno noti. Queste pagine sono molto di più: il tuo ultimo atto d’amore verso papà, anzi sono la vostra storie d’amore”.
Pare di vederlo brillare il sole di via Cilea, a pagine venticinque. Come se fosse ora.

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21 Novembre 2013, 19:53

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