27 Luglio 2014, 06:25
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E siamo ad un anno da un giorno che non avrei mai immaginato di dover vivere. Una giovane coppia di sposi, un terribile “schianto” a riempire improvvisamente di rumore il silenzio di una notte piena di stelle: Autostrada del Sole, A1 direzione SUD (da Milano in Sicilia) , km 260-700 tra Rioveggio e Barberino. Era la notte tra il 26 e 27 luglio 2013 , quella notte “qualcuno” ha commesso qualcosa che ha cambiato tristemente il corso del destino mio e di Roberto, distruggendo per sempre il nostro presente e rubandoci il nostro futuro. Un groviglio di lamiere, una corsa disperata all’Ospedale Careggi di Firenze, io grave in un lettino del pronto soccorso con lesioni e fratture, mio marito Roberto in coma. Dopo 12 ore dal reparto di neurochirurgia dell’ospedale Careggi di Firenze, alle 13,15 arriva il triste referto del neurochirurgo: Roberto è morto: “Morte cerebrale, cessazione permanente e irreversibile dell’attività cerebrale”.
Nonostante l’immenso dolore che devasta da quel minuto il mio cuore, sto cercando di tenere fede alle promesse scambiate con il mio Robi, “esserci l’uno per l’altro, e far prevalere, sempre, il dono dell’amore”. Dal mio lettino d’ospedale del reparto di primo intervento, la donazione dei suoi organi è stato il primo passo. Le vittime della strada non hanno scelto di esserlo e aspettano una giustizia che procede lenta e incerta e che sembra generare l’assurdo paradosso per il quale chi procura la morte di una persona innocente con la sua guida scostumata, sembra detenere una abilitazione speciale che io chiamo “patente che autorizza ad uccidere…”. Mio marito Roberto, Lorenzo, Claudia, Beatrice, Alessandro, Davide, Francesco, Daniele…e tantissimi altri nomi, una interminabile lista di innocenti. Tutte morti ingiuste e terribili che non smetteranno mai di far sanguinare i cuori di chi li ama, che non smetteranno mai di essere fonte inconsolabile di dolore e pianto. Queste persone sono state uccise due volte, la prima da autisti assassini, la seconda da una giustizia lenta e un governo che anziché velocizzare l’iter per rendere reato l’omicidio stradale sembra accusare i familiari che chiedono giustizia di emotività e voglia di vendetta. E non mi resta che continuare a scrivere, prima o poi qualcuno al Governo, mi ascolterà… e incomincerà a fare sul serio, e per me fare sul serio significa agire e poi parlare..
Basta promesse disattese: Non deve capitarci in prima persona di provare un dolore così grande per rendersi conto che è il momento di dare risposte concrete. In questi mesi ho capito cosa significa sentirsi “figli di un dio minore”, in una Italia dove con le attuali leggi per quello che noi familiari delle vittime della strada chiamiamo “omicidio stradale” non esiste giustizia certa e immediata; attenzione non sto parlando di vendetta, ma di pene certe e immediate, di vera rieducazione per chi si macchia di questi “delitti”. E nell’attesa che il Governo smetta di promettere e agisca, rimangono i nomi, le foto con i fiori sui guard-rail o legate agli alberi delle strade e autostrade ad indicarci che proprio li l’asfalto è stato macchiato del sangue di una vita ingiustamente spezzata e rubata. Basta parlare, basta promettere, è il momento di agire veramente caro governo del fare, considerando tutti gli errori alla guida…che provocano tante morti e tante lesioni e dolori. Chi si mette alla guida sa che la distrazione, l’alta velocità, la droga, l’alcol sono come delle armi in mano che sparando all’impazzata possono causare morte di innocenti.
Dobbiamo smetterla di trovare sempre alibi, dobbiamo smetterla di non affrontare il problema e accusare di emotività chi parla con sobria lucidità nonostante un grande dolore. Per chi ruba pochi euro e viene colto in fragrante esiste l’arresto immediato, chi causa la morte di una persona innocente in un incidente stradale è libero…di continuare a vivere la sua vita, di non chiedere scusa, torna a casa a vivere la sua vita, dai suoi affetti. In Italia la legge è tale che chiunque si metta al volante e ammazzi una o più persone e ne ferisca altre rimane praticamente impunito… Servono pene esemplari che servano veramente da deterrente, pena certa e processo immediato, e in alcuni casi anche l’ergastolo della patente. Oggi abbiamo dei tempi biblici ad esempio nel mio caso: quasi un anno per decidere di riinviare a giudizio l’autista turco e senza carta verde che con il suo tir ha massacrato la nostra Thesis (dal 27 luglio 2013 solo il 15 luglio 2014 è stata deciso il riinvio a giudizio, prossima udienza a gennaio 2015). Anni di udienze per poi arrivare ad una sentenza di condanna che con la condizionale e/o patteggiamento significa nella maggior parte dei casi niente prigione e niente pene rieducative alternative, ma al contrario solo pochi mesi di sospensione della patente che viene ridata come se nulla fosse accaduto.
Troppi, tanti i colpevoli liberi di vivere la propria vita senza aver capito cosa hanno fatto, liberi di non chiedere scusa, e che riprendono a guidare indisturbati, a non rispettare le regole della strada e a volte ad uccidere ancora causando altri incidenti. Basta queste VERGOGNE non devono rimanere impunite. Chi uccide guidando è un assassino che agisce con dolo, con consapevolezza, con premeditazione: non ci sono scuse e giustificazioni, per chi gioca con il telefonino mentre guida, per chi si distrae, per chi non rispetta i limiti di velocità e corre all’impazzata, per chi si mette al volante ubriaco o drogato , non ci sono attenuanti, quando sei al volante devi stare concentrato sulla strada e su quello che succede, queste persone sanno benissimo le conseguenze che possono provocare e quindi accettano consapevolmente il rischio di uccidere. E là dove forse mai sarà ergastolo della patente per chi uccide, rimane invece l’ergastolo del dolore, per chi subisce, una ingiustizia così terribile.
Queste tragedie potrebbero capitare a tutti. Noi abbiamo il dovere di non farle capitare, dobbiamo pretendere prevenzione e controlli, dobbiamo pretendere giustizia, pene certe e immediate. Non dobbiamo ignorare che si possono evitare, non dobbiamo stare zitti. Ho detto più volte che la mia lotta non mi ridarà il mio Roberto, la mia vita felice, non mi farà usufruire delle nuove sentenze che si avranno con reato di omicidio stradale, il penale non è mai retroattivo, ma mi consentirà di credere che altre persone potranno avere una giustizia che per me non ci sarà mai, una legge che servirà da deterrente e che aiuterà a punire e rieducare chi sbaglia e si macchia di questi delitti. 27 luglio alle 13,15 primo anniversario dalla morte di Roberto. Ho scelto di non fuggire dal dolore, di trarne forza positiva, ho scelto di non odiare, preferisco l’amore. Questi mesi sono stati terribili, il dolore mi massacra, Roberto mi manca e mi mancherà sempre, mi manca la nostra vita, mi manca la fisicità dell’esserci quotidianamente, …il potersi toccare, abbracciare, il potersi vivere. Avevamo solo un anno e pochi mesi di matrimonio, volevamo un figlio da crescere, sognavamo di vivere giorno dopo giorno tutte le emozioni che la vita ti dona e volevamo diventare vecchi insieme, “il bastone l’uno della vecchiaia dell’altro”. Ma è proprio la forza e la consapevolezza di un amore così speciale a sostenermi, unitamente all’amore della mia famiglia e dei veri amici, e anche alla Luce e alla Forza della Fede.
Per noi, per me, credere significa vivere il dono della “Speranza”, significa essere convinti che esiste una vita dopo la morte. Quando penso al mio Roberto, sento che è nella Luce , avverto che è ancora raggiungibile con il cuore, e con il mio papà, mi protegge da lassù. Dicono che quando un’anima muore va in cielo e diventa una stella; lui è diventato una stella che brilla nel cielo, lui è un angelo buono che mi sta sempre vicino, e mi da forza abbracciandomi con le sue ali protettive. Se penso che lui è ancora vicino a me, niente mi fa paura.
Marina Fontana Cona
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27 Luglio 2014, 06:25