23 Ottobre 2012, 11:33
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PALERMO- Alle undici nella chiesa di Sant’Ernesto, quelli che hanno più di trent’anni diventano padri e madri, anche se non lo sono. Quelli che hanno meno di diciotto anni sono tutti figli. E’ il miracolo costato sangue e lutto. Il miracolo di Carmela, la ragazzina che studiava, che amava i bambini e i deboli, che voleva diventare medico pediatra, nel giorno dei suoi funerali.
Non ci accorgiamo mai dei ragazzi, se non quando pensiamo a come eravamo ragazzi. Ricordiamo i poeti che abbiamo amato furtivamente tra i banchi, di un amore sconfinato e clandestino. La professoressa spiegava Monti, non Mario, Vincenzo. E noi sfogliavamo con mani tremanti i versi di Villon, di Baudelaire, di Rimbaud. La professoressa discuteva da sola della spigolatrice di Sapri e noi restavamo sgomenti perché Riccardo, re inglese raccontato da Shakespeare, chiacchierava dell’inverno del suo scontento, da una pagina schiusa. La professoressa fissava sulla lavagna la metrica. E noi ci lasciavamo abbacinare da Sandro Penna: “Ecco il fanciullo gravido di luce”. E guardiamo i ragazzi quando giocano a pallone, quando mangiano il gelato, quando fuori da questa parrocchia, loro – invisibili e sfuggenti – piangono e si stringono, soffiandosi il naso e l’anima in un fazzolettino di carta.
Alle undici perfino i ragazzi ci vedono, non come esseri lontani, autorità che giudicano, professori che danno i voti, giornalisti che scrivono di emozioni che non provano. Ci vedono come bambini andati a male da abbracciare, tutti uniti nella stessa tragedia.
Alle undici di una giornata di sole, si celebrano i funerali di Carmela Petrucci che spalancava il suo sorriso alla vita, prima che la lama di un assassino cieco la straziasse. La vittima designata dell’agguato era la sorella Lucia, che adesso attende la guarigione delle ferite in un reparto dell’ospedale “Cervello”, assistita da medici premurosi e da una famiglia meravigliosa. Le diranno, a tempo debito, che Carmela sua sorella “gemella”, nonostante un anno di differenza non c’è più. Lucia dovrà precipitare più giù nell’abisso del suo dolore. E risalire piano piano, lacrima dopo lacrima, verso la lucina pulsante della gioia smarrita.
Ma è ancora presto. Siamo qui – una marea di gente – per Carmela che conclude il suo indimenticabile e troppo breve passaggio. Davanti a una bara bianca. E c’è il sorriso di Carmela in una foto scattata in Inghilterra, meta di un viaggio bellssimo, accanto a una cabina telefonica rosso fuoco. E ci sono le corone di fiori, con l’omaggio della Presidenza della Repubblica.
Il coro di Sant’Ernesto infonde un canto lieve, mentre la bara entra nella canonica: “Ti alzerà, solleverà su ali d’aquila. Poi ti coprirà con le sue ali e rifugio troverai”. Carmela incede sollevata piano piano dalle mani di chi l’ha amata e la conduce con leggerezza fino all’ultima destinazione. Presiede la ceriminia il cardinale Paolo Romeo. Sceglie di andare oltre, di osare l’inosabile: “Dobbiamo pregare per Samuele, perché possa intraprendere la via del pentimento”. All’inizio pare quasi una bestemmia. Pregare per l’assassino? Per colui che ha inflitto una mutilazione incancellabile ai cari in prima fila? Pregare per chi ha afferrato il coltello e senza pietà ha sfigurato il volto di una felicità perfetta?
Sì, pregare per un ventitreenne violento che con la feroce banalità di un gesto ha distrutto la purezza e l’innocenza. Pregare per un altro padre e un’altra madre che, senza averlo voluto, fanno i conti con un figlio perduto, chiuso in carcere, marchiato dall’odio collettivo.
Paolo Romeo prosegue. Il suo ammaestramento di pastore non fa sconti alla chiarezza: “E’ più semplice ritenere che il male sia fuori di noi, non è così”. “Le vittime di questa tragedia non sono solamente Carmela e Lucia – insiste il cardinale -. Sono state colpite le nostre famiglie, le nostre relazioni, la comunità scolastica del Liceo Umberto I, l’intera nostra Palermo, l’intera società. Ma se questi eventi ci coinvolgono tutti nelle conseguenze, ci accomunano tutti nel clima che le ha generate. C’è come una radice comune che troviamo quando ci volgiamo a considerare l’insondabile abisso del cuore umano con tutta la sua capacità di scegliere fra il bene e il male, di disegnare, giorno dopo giorno, col bene, la bellezza della vita, ed ugualmente di sfigurarla, anche in pochi istanti, con il male”.
Qualche ora prima dell’omelia i compagni di scuola dell’Umberto si erano già riuniti in via Uditore 14 F, sotto casa di Carmela e Lucia, come ieri sera durante una intensa fiaccolata. Presenze minute, discrete. Foto di Carmela, freschissime di felicità. Collage di un mondo andato in pezzi all’una e mezza, all’uscita da scuola.
I compagni, ora, salgono all’altare per il congedo. Leggono un messaggio dolcissimo e sofferto: “Cosa si dice in questi casi? Immersi nei nostri sogni non abbiamo mai immaginato di dovere cercare le parole più dolci per ricordare te, così viva. Sarai presente dentro di noi, in un posto che appartiene solo a te. Ti invidiavamo, eri immersa nei libri, eri felice. Ora invidiamo il cielo. Prenditi cura di Lucia, non le permettere di vivere nell’ombra. Un giorno anche lei tornerà a sorridere e ad amare”. E’ la benedizione sulla sventura. Un cugino legge il saluto del padre, della madre e del fratello. Papà Petrucci chiede che la pena sia esemplare. E’ un sacrosanto bisogno di giustizia terrena, non in contraddizione con la misericordia invocata dal cardinale.
Arriva il momento dell’addio. L’odore dell’incenso si spande nell’aria e nelle narici col suo carico di commiato. La messa finisce all’improvviso. E tutti vorremmo restare, non andare via, tutti noi: padri, madri, figli e figlie, nella consapevolezza della perdita che ci regala – a noi che possiamo permettercelo – una voglia di conquista e di affetto. Carmela va via tra i battimani e le lacrime. La sua famiglia svicola da una porticina laterale. Gli altri penseranno al delitto di via Uditore e scuoteranno la testa, durante la cena, ai margini dell’ennesimo approfondimento televisivo. Mormoreranno sconsolati: che brutto mondo…. Papà, mamma, fratello e nonni soffriranno in ogni centimetro del loro cuore.
Scriveva Francois Villon, poeta maledetto e clandestino: “Dove le nevi dell’altro anno?”. Dove finirà tutto l’amore che pare beffato e strappato? E’ la domanda che non ha risposte, solo speranze, mentre Carmela comincia a sfumare dentro uno sfocato orizzonte di terra, che fa invidia al cielo.
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23 Ottobre 2012, 11:33