26 Settembre 2018, 19:30
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PALERMO – Calogero Piero Lo Presti è l’assassino del Capo. Così ha stabilito il giudice che lo ha condannato a vent’anni. Una sentenza, di primo grado e dunque non definitiva, che riporta al centro della cronaca uno dei maggiori potentati mafiosi degli ultimi decenni. Un’appartenenza familiare rivendicata con forza dal ventiquattrenne condannato per omicidio. “Mi avvalgo del diritto di non rispondere, lo so bene perché sono un Lo Presti”, disse a chi lo interrogava dopo l’omicidio di Andrea Cusimano.
Dei Lo Presti si iniziò a parlare ai tempi di Salvatore, che a Porta Nuova tutti chiamavano Totuccio. Cadde nel 1997 sotto i colpi dei Vitale fardazza di Partinico. Volevano emulare i corleonesi e provarono a conquistare la città partendo dalla vecchia Palermo. Totuccio Lo Presti fu rapito e ucciso. Era il fratello di Calogero Pietro Lo Presti, il nonno del giovane condannato per l’omicidio di Cusimano.
Calogero Piero ha seguito le orme del padre, Giovanni, che all’inizio degli anni duemila è finito in carcere per avere ammazzato Salvatore Altieri. Era intervenuto per sedare una lite e quando fu preso a pugni si fece giustizia da solo. Lo Presti si consegnò e confessò il delitto, scagionando il figlio della vittima che si era accollato un omicidio che non aveva commesso. Non poteva accusare uno potente che di cognome faceva Lo Presti.
Nel 2011 le indagini fecero emergere la figura di Calogero Pietro senior, lo zio Pietro che da una stalla dettava gli ordini al clan. Tre anni prima in carcere si era ammazzato suo fratello Tanino. Si impiccò nel carcere Pagliarelli, a Palermo. Un gesto, il suo, forse da collegare alle intercettazioni che lo riguardavano. Ad altri boss aveva detto di potere contare sull’appoggio di Giuseppe Salvatore Riina – figlio di Totò – per la rifondazione di Cosa Nostra stoppata nel 2008 dal blitz dei carabinieri denominato Perseo.
Prima del gesto disperato Tanino diede l’ordine dal carcere. Il potere passava al nipote Tommaso Lo Presti, soprannominato il pacchione per distinguerlo da un cugino omonimo, detto il lungo, arrestato pure lui per mafia. Dell’investitura s diceva soddisfatta Teresa Marino, la moglie di Lo Presti che fino al giorno in cui l’arrestarono, nel 2015, passava gli ordini del marito carcerato.
Il corto è il soprannome di Tommaso Di Giovanni, nipote dello zio Pietro (il papà ne ha sposato una sorella) e reggente del mandamento, tornato in carcere per finire di scontare una condanna. Il bastone del comando lo aveva ricevuto dal fratello Gregorio, il revuccio di Porta Nuova, che la sua pena l’ha scontata fino in fondo ed è tornato in circolazione.
Nomi e omicidi irrisolti si incrociano. Gregorio Di Giovanni viene tirato in ballo per l’omicidio dell’avvocato Enzo Fragalà, mentre Tommaso Lo Presti per quello di Giuseppe Di Giacomo. La chiamata di un solo pentito, però, non basta per incriminarli. Intrecci su intrecci: una sorella di Giuseppe Dainotti, il boss assassinato l’anno scorso, è la madre di Tommaso Lo Presti, il pacchione.
Stavolta è il giovane Calogero Piero a finire in prima pagina sui giornali. A pensarci bene una vecchia intercettazione del 2010 era stata un cattivo presagio. Aveva appena 16 anni quando di lui parlava il nonno omonimo, lo zio Pietro, con Tommaso Di Giovanni. Emergeva l’esuberanza del ragazzino: “Piero all’epoca si ci stava ammazzando… questi sono di mio nonno… sapevi che mio nonno aveva problemi con questi e tu e la sei andata…. il bambino di sedici anni”.
Esuberante e spavaldo era stato quando assieme ad altri amici si presentò in un locale di via dei Candelai. Non un locale qualsiasi, ma il pub “La Movida” di Luigi Giardina, cognato del boss Gianni Nicchi. La mattina del 13 settembre 2010 nella stalla di via della Rovere, quartier generale dello zio Pietro, si fece vivo Giardina: “… sono venuto a disturbarla per questo discorso dei Candelai, non ne sa niente di questo discorso?… sono venuti questi ragazzi, uno dice che sella il cavallo da lei e sono entrati la dentro, io mi metto subito a disposizione perché ho visto che erano brilli che si stavano divertendo”.
Lo zio Pietro sapeva tutto: “… c’era pure mio nipote quello piccolo, ora te lo faccio vedere, gli ho detto, sei scemo perché se ti avvicinavi e gli dicevi che eri mio nipote proprio mio nipote il figlio di mio figlio Giovanni”. “Il figlio di Giovanni è? – chiedeva sorpreso Giardina – mi è sembrato piatusu, ma poi glielo deve dire solo lei che non si ubriacano…”.
Il padre Giovanni, appresa la notizia del caos notturno, “ieri sera l’ha ammazzato”. Di botte il ragazzo ne aveva prese parecchie anche all’interno del locale, tanto che aveva pure perso qualche dente: “… zio Pietro troppo vastasi”. Tutta colpa dell’alcol, diceva il nonno: “… ma lui stesso non ha capito niente di quello che ha fatto… un ragazzo a sedici anni da quando tempo può bere… non è che ha venti anni che beve…”.
Quella sera il ragazzo aveva perso la ragione “… gli è salito il quarantuno bis…”, diceva Giardina. Carattere difficile, ammetteva il nonno: “… l’ammazzi e lui ritorna indietro e buono che lo butti a terra si alza e ritorna nuovamente.. loro non ci vengono più la perché già li ho avvisati, e se devono venire là devono venire per mangiarsi un panino e fare l’educato”.
Non come quella volta che avevano scatenato il putiferio: “.. dice ‘pagati qua di suvirchiaria e gli ho detto… mi dispiace che mi stai dicendo queste parole, però io ti dico un altra cosa io la cosa te la offro, ti siedi bello tranquillo statti tranquillo… di ‘suvirchiaria’ dice perché domani ti faccio chiudere in tre secondi… e io gli dico fammi la cortesia, l’unica cosa che ti posso dire io e che ti faccio sedere, ti posso dare da bere, bevete, divertitevi, non mi pagate e andate via… ‘tu forse non hai capito niente, domani non ti faccio aprire'”.
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26 Settembre 2018, 19:30