24 Luglio 2022, 10:48
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PALERMO – Una sentenza come merce di scambio del patto corruttivo. Nuovi guai giudiziari per Silvana Saguto in un filone processuale in cui le viene contestato, alla radice, il suo operato di giudice.
È infatti una sentenza del collegio delle Misure di prevenzione che presiedeva prima di essere radiata, quella nei confronti degli imprenditori Virga di Marineo, che viene considerata tassello e strumento di un patto corruttivo.
Per Saguto si profila un nuovo processo dopo quello che in appello, pochi giorni fa, si è chiuso con una condanna a 8 anni e 10 mesi e 15 giorni.
Il giudice per le indagini preliminari di Caltanissetta Gigi Omar Modica ha respinto la richiesta di archiviazione dei pubblici ministeri, imponendo che Saguto venga iscritta nel registro delle notizie di reato per le ipotesi di corruzione in atti giudiziari e falso.
Il provvedimento è di due giorni fa. Il gip ha accolto l’opposizione alla richiesta di archiviazione avanzata dall’avvocato Luca Inzerillo, che assiste i Virga.
L’anno scorso la stragrande maggioranza dei beni è stata restituita agli imprenditori Carmelo, Vincenzo, Anna, Francesco e Rosa Virga e ai loro figli, ad eccezione di alcuni immobili e alcune partecipazioni societarie di Carmelo Virga che sono andate in confisca. Delle aziende resta poco o nulla. Durante gli anni dell’amministrazione giudiziaria sono fallite.
Il collegio preceduto Saguto scelse come amministratore giudiziario il commercialista Giuseppe Rizzo (revocato per gravi inadempienze da Raffaele Malizia che prese il posto di Saguto alla guida delle Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo). Lo sponsor di Rizzo, secondo i finanzieri del Nucleo di polizia economico-finanziaria, sarebbe stato l’ufficiale della Dia Rosolino Nasca. Anche Nasca è stato condannato nel processo principale: la pena per lui in appello è scesa da 4 anni a 2 anni e otto mesi
Saguto era stata intercettata nel 2015 mentre sul conto di Rizzo spiegava che “è un ragazzetto… non so come farà”. Non era esperto. Secondo i pm di Caltanissetta e i giudici che l’hanno condannata, la scelta di Rizzo, sponsorizzato da Nasca, sarebbe stata ricambiata con la promessa di far lavorare persone segnalate da Saguto, fra cui il marito, Lorenzo Caramma.
Ecco cosa diceva Nasca: “Viene assunto da un’altra, da una terza persona. Punto. Non compare da nessuna parte… lo sappiamo solamente noi due e lo saprà solamente tuo marito, il quale non avrà rapporti con Rizzo…”.
Secondo i Virga, che come aveva ricostruito Livesicilia denunciarono Saguto, il patto corruttivo non riguarderebbe la sola nomina dell’amministratore. L’intero sequestro sarebbe stato frutto di una forzatura. Non vi erano i presupposti e Saguto non studiò neppure le carte. Insomma il sequestro del 2015 sarebbe stato un grande bluff.
Il patrimonio degli imprenditori era stato stimato in 1,6 miliardi di euro fra impianti di calcestruzzo, imprese edili, aziende agricole, produzione di gas terapeutici ed industriali, ristorazione, immobili. Un valore monstre, il più alto fra i sequestri eseguiti nella storia della misure di prevenzione in Italia, sempre smentito dai Virga e valutato intorno ai 25 milioni di euro.
Fu il solo Carmelo Virga a finire sotto inchiesta per mafia nel 2000, ma la sua posizione venne archiviata: non erano stati acquisiti elementi univoci benché, scrivevano i giudici, “avesse avuto nel corso degli anni diverse frequentazioni con personaggi sicuramente appartenenti al sodalizio mafioso”.
Diversi pentiti di mafia, tra cui Nino Giuffrè a Giovanni Brusca, dissero di avere avere saputo da Ciccio Pastoia, boss di Belmonte Mezzagno, e Bernardo Provenzano che i Virga di Marineo avevano goduto dell’appoggio della mafia fino ad inserirsi con le imprese Comes e Calcestruzzi San Ciro nel patto del tavolino gestito da Angelo Siino, attraverso cui Cosa Nostra controllava gli appalti pubblici. Protezione e aiuto in cambio di tangenti. Elementi che non bastarono per un processo penale, ma che rappresentarono l’ossatura delle indagini patrimoniali.
Saguto, trascrizioni alla mano, avrebbe iniziato a esaminare la corposa documentazione composta da migliaia di pagine una manciata di giorni prima che venisse firmato il decreto di sequestro. Troppo poco tempo per avere un quadro completo.
“Non ho avuto il tempo di guardarlo, ora parto per una trasferta quando torno, cioè domenica torno, da lunedì comincio a guardarmi le carte”, diceva Saguto.
Addirittura falsa sarebbe stata la camera di consiglio, mai celebrata, per dare il via libera al sequestro. Nessun confronto ci sarebbe stato fra i giudici per valutare una così importante decisione.
I pubblici ministeri di Caltanissetta ritenevano che non ci fosse la certezza del falso e della mancata valutazione delle prove per giungere al sequestro. Il gip sul punto è tranciante: Saguto era sotto intercettazione in quel periodo e non c’è un “barlume di cenno o di riflessione con i colleghi” sulla decisione che stavano per prendere.
Il sequestro sarebbe stato stabilito in solitaria da Saguto, tanto che i suoi colleghi non conoscevano neppure il nome di Rizzo. Diversi, invece, sarebbero stati i rapporti fra l’ex presidente e Rizzo. La prima diceva al secondo: “Se possiamo sistemare qualcuno che ha bisogno di lavorare”. “C’ho messo a Rizzo perché lo vuole Nasca”, ammetteva Saguto.
Che la nomina fosse stata spinta da Nasca veniva fuori da altre conversazioni intercettate nel 2015. “Stai creando un uomo di 50 mila euro al mese sicuro – così parlava il finanziere al giudice – … lui non ha la taratura… non hai capito che impero c’è? Cioè io ti dico per fare sta cosa si lavora per mettere persone nostre cioè io non è che mi metto a fare delle società, abbiamo un piano più grosso c’è un progetto professionale, politico. Noi stiamo viaggiando a livelli c’è una visibilità, parola mia fortissima, cioè tra un poco mi chiamano e mi vogliono mettere nel listino… mi mettono nel listino mi chiamano e me ne vado a Roma”. Parole, forse progetti mai andati in porto perché fermati dall’inchiesta.
Per quanto riguarda il falso (considerato una leggerezza) la stessa accusa aveva chiesto l’archiviazione dell’inchiesta, mentre per la corruzione riteneva che fosse già stata affrontata nel processo in corso a Caltanissetta. Ed ecco la novità: l’accordo corruttivo non prevedeva la sola nomina di Rizzo, ma sarebbe iniziato addirittura prima con il sequestro funzionale al patto illecito.
Dunque, secondo il gip, non ci si trova di fronte ad un ne bis in idem (non si può processare una persona due volte per lo stesso episodio) ma di un fatto nuovo. Da qui l’obbligo per il pm di andare avanti per le ipotesi di corruzione e falso. La richiesta di archiviazione viene accolta solo per un abuso d’ufficio alla luce della prescrizione maturata.
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24 Luglio 2022, 10:48