Quando mise in riga Riina | La carriera del giudice

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29 Marzo 2018, 19:21

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PALERMO – La radiazione chiude nel peggiore dei modi una lunga carriera. Nella polvere finisce un simbolo. Dura e pura. Spigolosa e intransigente. A volte scontrosa nei rapporti umani, anche con gli avvocati che ne contestavano spesso i metodi processuali. La decisione del Csm può essere appellata.

Per due decenni Silvana Saguto ha brillato di luce propria nel firmamento dell’antimafia. Niente chiacchiere e molti fatti. Poi, qualcosa si è rotto. Prima il brusio e i sospetti sugli incarichi assegnati dalla sezione Misure di prevenzione da lei presieduta, infine l’inchiesta di Caltanissetta e il processo con l’accusa di avere gestito come un feudo privato il settore dei sequestri e delle confische dei beni ai mafiosi e agli imprenditori sospettati di essere in affari con i boss. Il giudice è passato dall’altra parte, da quella degli imputati che per anni non ha esitato a punire.

Il suo nome è legato ad alcune pagine rimaste nella storia giudiziaria. Ad esempio, non ebbe timore nel 1993, a “sfidare” Totò Riina, quando era ancora nitido il tonfo delle bombe di Capaci e via D’Amelio. La Saguto era il giudice a latere – presidente Gioacchino Agnello – nel processo in Corte d’assise per gli omicidi di Michele Reina, Piersanti Mattarella e Pio La Torre. Durante una pausa le telecamere in aula restarono accese. E così i magistrati, che si erano ritirati, ascoltarono Riina mentre invitava il pentito Gaspare Mutolo a tornare ad essere il “Gasparino” di sempre. “Farai la fine di Matteo Lo Vecchio”, gli disse il padrino corleonese citando il personaggio del libro “I Beati Paoli” che viene ritrovato impiccato in piazza della Vergogna. E così al rientro in aula Saguto chiese Riina: “Che fine ha fatto Matteo Lo Vecchio, mi interessa”. “Ma non lo so c’è un libro che ne parla”. E Saguto: “Quindi lei legge libri a metà”.

Nessuno un ventennio dopo avrebbe immaginato di ritrovarla indagata per corruzione. Inflessibile era stata nel suo incarico alle Misure di Prevenzione sequestrando miliardi di beni tolti ai più importanti gruppi imprenditoriali palermitani. Tra questi, i Niceta, i Rappa e i Virga. Oggi in tanti urlano, dicono di essere rimasti vittima di un giudice che avrebbe piegato la giustizia agli interessi personali. Il processo penale è ancora in corso. Quello disciplinare si chiude oggi con la radiazione.

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29 Marzo 2018, 19:21

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