“Salvai la bambina del Belice, | ma lei morì poco dopo”

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08 Settembre 2009, 00:00

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“Aveva gli occhi neri neri. Due occhioni che non finivano mai”. Ivo Soncini ricorda le piaghe nelle sue mani che, nude, affrontavano le pietre e le pupille di una bambina salvata per poco dalle macerie del Belice. Lui, di Reggio Emilia, vigile del fuoco volontario paracadutato nell’immane sciagura di Gibellina, rasa al suolo del terremoto. Di lei – che di cognome faceva Di Girolamo – resta appena quel dolce appellativo. Cudduredda la chiamavano, all’anagrafe Eleonora. E chissà che voleva dire.

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Cudduredda, bimba di appena sette anni, stava sotto i calcinacci da cinquantaquattro ore. Era il ’68.  Respirava a fatica. Ivano Soncini ha sessant’anni circa. Non ha scordato quegli occhioni neri. Adesso, racconta ancora: “Ho rivisto le immagini dell’Abruzzo in tv e mi sono emozionato. Ho rivissuto il Belice. L’Abruzzo è uguale a Gibellina, a Montevago, a tutti quei paesi distrutti dalle scosse. Avevo vent’anni. Noi eravamo in tre, una squadra di vigili. Avevamo appena tirato fuori dalle macerie il corpo senza vita della nonna della bambina”. I vigili del fuoco parlano, si riposano un attimo. Il pompiere Soncini Ivo sente un sussurro in mezzo alla polvere: “Ehi, ci sono anche io. Ehi…”. Un soffio infantile di vita. “Capimmo – racconta – che c’era qualcuno lì sotto. Una bambina. Io cominciai a parlarle, a chiederle come si chiamava e quanti anni aveva. Le facevo coraggio. Le ripetevo: ‘gioia mia, non preoccuparti che arriviamo a salvarti’”. Spunta un riflesso biancastro tra le pietre. Spunta una mano. Spuntano gli occhi. Soncini si lancia. Scava con più forza a mani nude. Sposta le travi che imprigionano la bambina. La prende in braccio e ride. Ride, perché è riuscito a salvarla. Ride.
Ora ricorda: “In quell’occasione abbiamo fatto il possibile e anche di più. Non bisogna criticare i soccorsi, non è il tempo della polemica”. Eleonora Di Girolamo finì sotto i riflettori di un telegiornale in bianco e nero come simbolo della speranza. Morì poche ore dopo in ospedale di polmonite. L’uomo che l’aveva afferrata al volo sussurra: “Fui preso dalla disperazione, mi sembrò tutto inutile”. Lui, Ivo Soncini, non ha dimenticato: “Rivedo sempre i suoi occhi neri e il suo cappottino bianco”. R.P.

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08 Settembre 2009, 00:00

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