25 Settembre 2020, 12:20
4 min di lettura
Il tre ottobre, una data da segnare nell’elenco dei cambiamenti che si avviano per condurre la cronaca e la storia dove non si sa. Inizia, a Catania, con l’udienza davanti al Gup, la vicenda giudiziaria sulla nave Gregoretti che vedrà Matteo Salvini assoluto protagonista. Una storia da cui il leader leghista non uscirà come è entrato. Potrebbe essere la sua Caporetto e sancire l’addio definitivo ai sogni di gloria, oppure l’occasione di un insperato rilancio. Si tratta di un momento cruciale in cui conterà, con la sostanza e gli accadimenti, la narrazione che si svilupperà intorno all’ex uomo imbattibile del centrodestra. (QUI il riassunto delle vicende giudiziarie)
Perché la domanda è questa e riguarda i comportamenti, le parole e gli atteggiamenti intorno all’aula: Salvini è ancora Salvini? In politica il successo, specialmente negli ultimi tempi, è effimero come un quadrifoglio. La fortuna bacia chi lo raccoglie, ma punisce chi non riesce a conservarlo. Così fu per Matteo Renzi, disarcionato dalla sua stessa ambizione e dalla posta estrema di un referendum. Così potrebbe essere per Matteo Salvini.
Matteo Salvini è un perdente? I numeri non suggeriscono questo. Oltretutto, la retorica sui migranti è sempre condivisa da moltissimi utenti, e non solo, che affollano la bacheca del ‘Capitano’ di like e commenti favorevoli a ogni post sull’argomento. Forse, si potrebbe dire meglio, è un ex vincente, soprattutto se si paragona l’attuale momento grigio allo splendore di qualche mese fa. C’era una volta un ministro dell’Interno che, in realtà, era il premier nemmeno tanto occulto del celebre governo giallo-verde. Aveva polarizzato l’attenzione su di sé e sulla, a suo argomentare, ‘titanica lotta’ per difendere le frontiere. Al confronto, l’attualmente imperante Giuseppe Conte, appariva quale una figura di secondo piano, benché fosse, come è, il presidente del Consiglio.
Che bevesse un cocktail o concionasse contro gli ‘immigrazionisti’, Matteo aveva il vento in poppa: quel consenso che ti premia qualunque cosa tu faccia, il famoso quadrifoglio. Donald Trump, uno che ne sa qualcosa, una volta pare che abbia detto: “Potrei stare in mezzo alla Quinta Strada e sparare a qualcuno, e non perderei nemmeno un elettore”. Un’immagine abbastanza cinica che però fotografa l’algoritmo dei voti. Se sei percepito come uno che vince, vincerai. E poi continuerai a vincere.
Il problema, semmai, è quando vieni circondato dall’odore acre della sconfitta: essere ex vincenti aiuta a trasformarsi in perdenti. Quell’immagine onnipotente non esiste più ed è un fatto che può combaciare con diverse ragioni. Politicamente, il salvinismo mostra la corda. La ‘spallata’ invocata alle regionali non c’è stata (il solito vizietto di indicare un traguardo al rialzo che rende vano ogni risultato al ribasso). Il ‘doge’ Luca Zaia e la ‘pasionaria’ Giorgia Meloni, al Nord e sul territorio nazionale, sono temibili avversari, molto più che il Pd di Zingaretti e il caos del Movimento Cinque Stelle.
Ecco perché l’appuntamento di Catania sarà mediaticamente importantissimo, quasi decisivo, nei suoi contorni e nel suo epicentro. L’aspirante comandante in capo del Centrodestra universalmente inteso sarà sotto i riflettori in un frangente non semplice. E gli occhi di tutti lo scruteranno per comprendere come regge il momento e le sue conseguenze. Ovvero se, in quel passaggio, Matteo S. recupererà la forza, la forma smagliante, il quadrifoglio, che non trova più. In cosa consista esattamente il carisma è materia opinabile, ma sul suo abbandono o sul suo recupero, nel caso specifico, si scriveranno le prossime mosse. Da Catania, il condottiere leghista potrebbe risorgere. A Catania la sua stella rischia di tramontare. A margine è prevista una robusta (e pacifica) invasione di leghisti che, al porto, animeranno dibattiti, conferenze e riflessioni, in segno di vicinanza.
Dal canto suo, Salvini non si discosterà, verosimilmente, dal solito ritornello. Ecco un suo post recente su Facebook: “Difendere i confini, la sicurezza, le regole e l’onore del mio Paese era un dovere, non solo da ministro ma anche da cittadino. Ho posto fine a una vergogna e lo dirò in uno, due, tre processi, anche se è chiaro a tutti che le politiche sull’immigrazione non sono decise da un unico ministro ma da tutto il governo, quindi ho piena fiducia nella magistratura. Vado avanti tranquillo, a testa alta e a schiena dritta”. E in quel ‘ho piena fiducia nella magistratura’ pare di cogliere una sfumatura significativa.
Qualche giorno fa, Paolo Mieli, in una intervista all”Huffington Post’ ha detto, parlando di Matteo (Salvini) e Giorgia (Meloni): “Devono fare una rivoluzione importantissima sul terreno della politica internazionale e definirsi con un partito che chieda l’iscrizione al Partito popolare europeo. Insomma, mettersi nel solco dei partiti moderati e conservatori europei”. Chissà se queste parole risuoneranno come un presagio nelle orecchie del ‘Capitano’ leghista nel suo sbarco a Catania. Chissà che la contingenza non suggerisca profili nuovi e toni meno esagitati. Comunque, sarebbe opportuno almeno prendere nota di quel consiglio. Mieli è uno che non sbaglia (quasi) mai.
Pubblicato il
25 Settembre 2020, 12:20