16 Settembre 2024, 19:31
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PALERMO – Il processo riguarda un atto politico, ma nulla ha di politico nell’accezione negativa che ne consegue. Qui non si tratta di stabilire se l’imputato Matteo Salvini, ministro dell’Interno quando nel 2019 bloccò lo sbarco dei migranti dalla nave Open Arms, sia innocente o colpevole. La decisione spetterà al Tribunale di Palermo.
Il fatto che la sua fosse una scelta politica non è di per sé un salvacondotto, non gli garantisce una immunità che lo pone al di sopra della legge. Il tema giudiziario è un altro: Salvini tenendo bloccati a bordo per venti giorni 147 migranti a largo di Lampedusa ha ignorato le leggi nazionali e internazionali o no? Ha violato lo stato di diritto o no?
Secondo la Procura di Palermo, che ne ha chiesto la condanna a 6 anni, gli atti del ministro sono stati contra ius, contrari al diritto. Il fondamento della loro giustificazione in ogni caso non dovrebbe essere ricercato nel fatto di essere state scelte politiche.
L’aggiunto Marzia Sabella e i sostituti Calogero Ferrara e Giorgia Righi hanno, comunque, scandagliato la chiave politica che Salvini ha offerto nella sua linea difensiva. “Nel corso delle sue dichiarazioni spontanee, il ministro ha collocato la sua azione nell’ambito della realizzazione del programma della maggioranza di Governo che aveva delineato ‘una politica chiara e condivisa sulla gestione dei fenomeni migratori che prevedeva il coinvolgimento delle istituzioni europee’ e che ‘tendeva a contrastare il traffico di esseri umani'”.
Il programma “aveva comportato, sempre, l’assunzione di scelte collegiali dell’intero Governo, fino a quando, delineatasi una frattura governativa, i suoi, ormai ex, alleati, contrariamente alle posizioni assunte in circostanze precedenti come nel caso della motonave ‘Diciotti’, improvvisamente rinnegarono le azioni del ministro dell’Interno”.
Ci sarebbe stato un momento in cui il governo Conte, che aveva voluto i “Decreti sicurezza”, iniziava a smarcarsi dal ministro Salvini. Le crepe avrebbero portato subito dopo alla caduta dell’esecutivo giallo-verde a.
Secondo la Procura, nonostante “il provvedimento di sospensione del Tar avesse posto fine al sogno dei porti chiusi”, nonostante la pressione sugli Stati europei avesse consentito di “raggiungere l’obiettivo della redistribuzione dei migranti”, l’imputato “aveva adottato una posizione di estrema intransigenza che lo portava ad affermazioni drastiche sui social: ‘Continuo e continuerò a negare lo sbarco a chi pretende di portare dei clandestini sempre e solo in Italia’; ‘Finché sarò ministro non autorizzerò mezzo sbarco’”.
I suoi vecchi compagni di governo si sono smarcati da Salvini. Ex alleati ma anche testimoni che, nella ricostruzione della Procura, hanno puntellato le accuse contro l’imputato. “C’è un limite alla politica che è sempre dettato dall’azione umana, dalla sensibilità rispetto a quello che si fa”, disse l’ex ministro della Difesa Elisabetta Trenta.
“Su questo non credo che ci sia un problema a dirlo pubblicamente, sì, credo che tutto quello che veniva fatto era sicuramente, aveva un fine, che era quello del consenso”, spiegò Giuseppe Di Maio, allora al dicastero dello Sviluppo economico.
“Non esisteva più il Governo, esisteva una persona che andava in giro e parlava con parole pesanti per arrivare alla pancia delle persone della parte migratoria. L’allora ministro Salvini oramai agiva in totale autonomia, era in campagna elettorale, non vennero più fatti Consigli dei ministri in quel periodo, era l’agosto e il Governo finì di lì a poco”, furono le parole di Danilo Toninelli, ministro delle Infrastrutture all’epoca del caso Open Arms.
Per ultimo Giuseppe Conte che di quel Governo era il premier: “Il clima era anche che diventava un po’ incandescente rispetto a una probabile competizione elettorale, e a sviluppi politici futuri, si voleva rappresentare il presidente del Consiglio come quello che era debole, diciamo, nella gestione del fenomeno migratorio, mentre il ministro dell’Interno era quello he invece aveva una posizione di rigore. Questo era un po’ il clima politico del momento”.
Secondo i testimoni e la Procura, a spingere le scelte di Salvini fu la macchina del consenso. I suoi provvedimenti erano “indubbiamente a vantaggio della propria immagine di politico intransigente nella gestione del fenomeno migratorio”.
Non più scelte di governo condivise, tanto che – e la Procura lo sottolinea – lo stesso giorno dello sbarco dei migranti su decisione della Procura di Agrigento, alle ore 18:28 del 20 agosto 2019 Salvini “si assentava dalla seduta del Senato per registrare un video postato in diretta sul suo profilo Facebook per proclamare come avrebbe ‘testardamente’ continuato a difendere i confini, la sicurezza e la dignità del Paese; per evidenziare, soprattutto, la sua coerente posizione contro i clandestini a differenza di altri politici che avevano abbondonato tale linea; e per chiedere, infine, il sostegno degli elettori”.
La parola ora passa alla difesa. La traccia dell’arringa del 18 ottobre la anticipa l’avvocato Giulia Bongiorno. “La nave Open Arms è stata assistita minuto per minuto in tutto il suo viaggio, ha avuto continua attenzione da parte delle istituzioni, coloro che non stavano bene sono scesi, c’è stata grande attenzione, nessuno è morto e nessuno si è sentito male. C’è stata semplicemente attesa in vista della redistribuzione. Siccome casi analoghi senza processo e senza contestazione sono esistiti e esisteranno, l’anomalia è che si è focalizzata attenzione sul singolo caso. Anche nei successivi governi ci sono state vicende assolutamente uguali che nemmeno hanno suscitato iniziative da parte di procure. Oppure, sotto governi di centrosinistra ricorderete speronamenti o altre iniziative”.
Quindi ha concluso: “Chi guarda alle carte, chi analizza i fatti non può che arrivare alla conclusione dell’assoluta correttezza dell’operato di Salvini e soprattutto dell’attenzione nei confronti di Open Arms”.
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16 Settembre 2024, 19:31