14 Luglio 2013, 17:30
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CATANIA – Intervista a tutto campo a Salvo Fleres, uno dei protagonisti assoluti della fondazione della Forza Italia catanese. Un’esperienza che lo ha portato ai vertici della politica nazionale, ricoprendo la carica di senatore della Repubblica. Poi la vicinanza a Marcello Dell’Utri e l’approdo nel Grande Sud di Gianfranco Micciché. Una militanza conclusasi nel giro di pochi anni. Oggi Fleres ha lasciato definitamente la politica. La motivazione non ammette fraintendimenti: “L’amarezza”. Resta però l’impegno in favore dei diritti dei detenuti e il ritorno alla professione giornalistica. Prematuro, al momento, ogni giudizio sulla nuova esperienza amministrativa targata Enzo Bianco: “Spero che il sindaco sappia mettere lo stesso entusiasmo dimostrato in passato”.
Perché ha lasciato l’agone politico?
“Sono amareggiato per alcune scelte che non sono state fatte. Ma che non riguardano certamente la mia persona. Io credo che ogni politico debba mettere in conto la conclusione della sua carriera nelle istituzioni. Questo non significa necessariamente smettere di fare politica diversamente, occupandosi della società. Io credo ci sia una momento della vita in cui ci si debba spendere nelle istituzioni e un momento in cui è necessario tornare ad un impegno sociale più diretto nel territorio. Io ho svolto con intensità le mie funzioni politiche. Con orgoglio posso dire che vi sono alcune leggi che portano il mio nome. Leggi che neanche i miei più acerrimi nemici sono riusciti a smontare e denigrare”.
Sembra dunque un testamento, politico ovviamente…
“Questo è per me il momento di smettere. Questa fase storica è molto diversa rispetto a quella in cui io sono nato e mi sono formato. Nasco nel mondo studentesco, nell’organizzazione giovanile repubblicana. Poi mi sono imbarcato nel “nuovo”, quando è nata Forza Italia. Poi mi sono reso conto che essere politico significava essere delinquente, essere inaffidabile, avere scarsa attenzione per i problemi della gente e tanta attenzione per i propri problemi. Io non sono mai stato così. Ritenere di dover essere considerato tale mi ha amareggiato profondamente. E mi ha condotto a fare altro”.
Ultimamente a Catania ha vinto il centrosinistra di Enzo Bianco, un suo vecchio compagno mazziniano. Come vede questa giunta appena varata?
“Ancora è prematuro ogni giudizio. Ci sono delle esperienze presenti in giunta, questo giova ad una città come Catania. Non si cambia drasticamente un modello, ma si cambia gradualmente. Credo che Bianco sia una persona di grande esperienza e che conosce Catania perfettamente. Se avrà lo stesso entusiasmo di allora, potrà fare cose importanti. E anche se, oggettivamente, le condizioni finanziarie della città sono molto cambiate”.
Come vede la coalizione di Bianco, che va da Licandro a Leanza?
“Quando sfumano le differenze ideologiche, quello che resta sono gli obiettivi programmatici. Non mi stupisce, dunque, una alleanza così composita. Anche se sono convinto che possano esserci questioni sulle quali questa convergenza potrà creare in futuro delle divergenze. Ci sono delle differenze sicuramente sui diritti civili e sullo sviluppo urbanistico. Non credo, comunque, che a livello amministrativo sia importante aderire al pensiero di Popper, Mazzini o Sturzo”.
Pippo Arcidiacono, un suo ex compagno di viaggio, sostiene l’esperienza Bianco. Cosa manda a dire?
“Ha fatto una scelta che apprezzo. Credo che faccia bene a continuare. È un eccellente cardiologo, ed è stato inoltre un ottimo amministratore, perché dovrebbe fermarsi se ha voglia di andare avanti?”
Dove ha sbagliato il centrodestra di Stancanelli?
“Il centrodestra non è stato accanto a Stancanelli. Si è spezzettato in tante tessere di un mosaico che poi non è stato capace di rimettere assieme in maniera ordinata. Il centrodestra si è sentito disorientato dall’azione pressante del populismo grillino, si è sentito forse esageratamente in colpa per alcune posizioni personali assunte dal proprio leader. Il centrodestra ha la colpa di non aver costruito uno classe dirigente”.
Lei è ancora in rapporti con Marcello Dell’Utri?
“Non lo sento da diversi mesi. Con lui ho avuto notevoli rapporti di natura culturale: l’ho aiutato a costruire la rete dei circoli del Buon governo. Condividiamo, inoltre, una passione sfrenata per i libri. Lui è uno dei più grossi bibliofili del nostro paese. Io, invece, sono ancora un microscopico bibliofilo. Ripeto, non lo sento da diversi mesi.
Come vede un possibile ritorno di Forza Italia?
“Non credo che il problema sia di nome. Se una persona cambia nome, mantenendo lo stesso modo di pensare, resta la medesima persona. Il centrodestra deve ricostruirsi cambiando uomini e strumenti”.
Che lavoro svolge oggi?
“Lavoro come giornalista nell’ente Parco dell’Etna. Sono in aspettativa e lo sarò fino a quando svolgerò il mio ruolo di garante dei diritti dei detenuti. Dopo non avrò nessuna riserva nel riprendere la mia attività”.
É ancora in rapporti, invece, con Micciché?
“Anche lui non lo sento da un bel po’ di tempo, anche se ho mantenuto dei rapporti cordiali. Lui ha dichiarato ultimamente che intende proseguire con l’esperienza di Grande Sud. Io credo che Grande Sud sia stata una bella opportunità sprecata, forse, per la stessa presenza di Micciché”.
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14 Luglio 2013, 17:30