San Berillo raccontata| dalla voce di un travestito

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30 Settembre 2013, 07:00

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CATANIA – San Berillo, o quel che resta di esso, è una delle zone più antiche del capoluogo etneo. Ma non è questo particolare a celebrarne la fama. Come quartiere, con al centro la pluri-citata via Delle Finanze, fino a qualche anno fa, era conosciuto in tutto il mondo per essere una vera e propria città “a luci rosse”. Il libro “Davanti alla porta”, giunto ormai alla seconda edizione, ne è una testimonianza singolare. L’autore è Francesco Grasso, un travestito. Ma anche una persona della spiccata sensibilità che ha voluto trasmettere il vissuto di un mondo, quello della prostituzione, da un prospettiva privilegiata. Uno spaccato di vita umana, dunque, che non ammette pregiudizi o ipocrisie. Ma che merita invece di essere illuminato e salvato dal degrado. Con questa finalità Francesco Grasso, assieme ad altri abitanti del quartiere, ha messo su il Comitato San Berillo. Uno strumento per riconnettere un quartiere alla sua città, una fetta di umanità al resto della cittadinanza.

Perché questo libro?

“Nel 2000 c’è stata un grande retata nel quartiere. A seguito di questo intervento sono state chiuse tutte le porte e da allora siamo rimasti solo noi residenti. Nei mesi successi a questa operazione, mi è venuta dentro questa voglia di ricordare il quartiere nel modo in cui io lo avevo vissuto per vent’anni. Scrivendo, ho lascito una testimonianza alla generazioni future”.

San Berillo, facci capire, era prostituzione o c’era anche dell’altro?

“Secondo me c’era solo la prostituzione a cui, in un certo modo, si affiancavano altre problematiche a delinquere. C’era chi dava dell’oro rubato alle prostitute in cambio di soldi; c’erano poi gli usurai ed altre figure simili”.

Quello dei trans è un mondo assai strano. Stigmatizzato ma allo stesso tempo assai frequentato. Cosa spinge gli uomini a questo tipo di esperienze?

“C’è una grande ipocrisia di fondo. Secondo me tutti gli uomini, così come le donne, sono bisessuali. In ognuno di noi c’è una forte percentuale di omosessualità. Si va con un trans, o con un travestito-trangender come me, per celare la propria inclinazione. Con noi gli uomini si sentono meno frustrati. E un modo per essere meno in torto con se stessi”.

Tu sei un travestito, una prostituta, ti sei mai sentito in qualche modo in colpa rispetto alla tua condizione?

“No, assolutamente. In un certo senso ho trovato l’equilibrio dentro di me. Tutto quello che vivo lo faccio in maniera trasparente. Anche rispetto a Dio. No, non mi sento in colpa verso di lui. Del mio lavoro ne faccio un bisogno per vivere come chiunque altro. Nessuno mi da un lavoro. Mi prostituisco per vivere. Ma anche per relazionarmi con gli altri”.

Spiegati meglio?

“Sarà un paradosso. Io ho conosciuto Dio nel mio letto di prostituzione. Ho avuto delle esperienze bellissime con le persone che sono venute da me. Certo, quelle medesime esperienze le avrei potute avere anche in un altro posto, magari più dignitoso. Però mi è capitato proprio lì. In fondo, San Berillo è un quartiere pieno di umanità”.

Aids. Che ricordi hai legati a questa terribile malattia?

“Ho avuto diversi amici, sia donne che trans, morti per questa infezione. È stato doloroso, soprattutto per una donna di cui avevo molta stima. Mangiavamo ogni giorno assieme. Dal momento in cui si è accorta di essere malata, fino alla dipartita sono passati tre anni. Poco. E lei lo nascondeva anche a noi. Conoscendo i sintomi, però, immaginavamo che ne fosse affetta…”

Non temi nulla per te?

“Non faccio nulla senza preservativo. Non che mi faccia schifo la persona che ho davanti. Ma so che quel dolore può essere evitato. Basta solo un preservativo”.

Hai mai pensato di cambiare lavoro?

“Se me lo avessi chiesto qualche anno fa ti avrei detto di no. Oggi, a 53 anni, se ci fosse qualcuno a darmi una alternativa, accetterei”.

Vuoi dire che sei ormai obbligato a prostituirti?

“No. Diciamo che ho maturato questa voglia di cambiamento. Prostituirsi va bene per i giovani. Dopo i quaranta, direi di no…”.

Consiglieresti a qualcuno il tuo stesso percorso?

“Non glielo consigliere affatto! Ti dico la verità. Se qualcuno, poi, volesse trasformarsi in donna, modello vamp, in perfetto stile anni ’80, si pensi ad Amanda Lear, gli direi che non sono più i tempi. Quello era un modo per andare contro la società che faceva scalpore e curiosità. Oggi l’omosessualità è più normale. Non c’è bisogno di esasperare”.

Scusando il linguaggio, ti sarai sentito tantissime volte chiamare “puppo” o “jarruso”. Che emozioni ti suscitano queste parole?

“Da giovane la prendevo male. Oggi invece no. Non ci faccio più caso. Non è un mio problema mio sentirmi chiamare “puppo”. Chi me lo urla addosso, se lo dice da solo”.

Ti capita di sentirsi come un “ultimo”?

“Sì, mi è successo. Per certi aspetti mi piace essere ultimo. Ti spiego: gli ultimi sono importanti. Quando si guarda ad un albero bruciato o tagliato, o ,meglio ancora, quando c’è una frana, si vedono le radici. Quella è la parte finale. Bene, io sono quella radice nascosta che può germogliare in qualcosa. Gli ultimi sono la parte nascosta, ma la più importante nella società”.

E la società ti ha scoperto?

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“No. Se uno ha sempre quel pregiudizio non si va da nessuna parte. Ma chi conosce il diverso può vivere un arricchimento”.

Questo libro ti ha aiutato a venir fuori?

“Penso di sì. È sicuramente servito per dare una immagine diversa del nostro mondo, come quello delle puttane”.

Che ne pensi di Papa Francesco e delle sue parole in favore degli omosessuali in cerca di Dio?

“Mi hanno confortato e sostenuto. Mi sono sentito preso in maggior considerazione da una entità come la Chiesa. Con gli altri Papi non riuscivo ad identificarmi, con lui è diverso: mi sento accolto”.

Nel libro parli positivamente dell’esperienza di Padre Gliozzo nel quartiere. Tolto lui, credi che la Chiesa sia chiusa sull’argomento?

“No, non lo è. Nei fatti però avviene che ci sono preti con sensibilità differenti”.

Cosa ne pensi invece dei matrimoni omosessuali?

“Non credo alle formule. Il matrimonio è responsabilità rispetto all’altro. Posso sposarmi con chiunque, e una volta soltanto, se sono disposto a dare tutto me stesso. Non c’è bisogno né di anelli, né di firme. Cristo non è venuto a portare formule. È venuto a parlare di vita”.

Come hai visto cambiare gli uomini nell’arco della tu esperienza?

“Una volta i maschi erano più passionali, più presenti. Non era tutto finalizzato nell’oggetto sessuale, ma nella persona. C’era una carezza, un bacio… Oggi i ragazzi, ma anche gli anziani, vengono solo per soddisfare i loro appetiti. È tutto più freddo, meccanico”.

Hai paura della solitudine?

“È il nostro cruccio. Il mio di sicuro. Nessuno sta con noi come compagno di vita. Per farlo, si dovrebbe avere una maturità grandissima, e spesso non la si ha. Certo, la solitudine, ci accompagna da giovani sino a vecchi”.

Quindi tu, tolto l’aspetto sentimentale, non hai nessun punto di riferimento, un amico, un parente, su cui affidarti?

“No. L’unico mio conforto è che Gesù ci sia davvero. Credendo mi sento meno solo”.

Hai mai subito violenze lavorando?

“San Berillo, sembrerà un paradosso, ma di giorno, io lavoro a quell’ora, tra i quartieri più tranquilli di Catania. Forse la sera non è lo stesso…”.

Perché, allora, avete fondato il Comitato San Berillo?

“Quando è stato chiuso il quartiere nel 2000 Bianco era sindaco. Fu lui, insieme al Prefetto e al Questore, artefice di quell’operazione. Oggi è tornato. Ha parlato di nuovo del quartiere: sarà un suo cruccio… Il comitato serve per dire la nostra su San Berillo, appunto perché lo abitiamo. Assieme alle prostitute, siamo noi l’anima del quartiere. Se lui vuole fare cambiare l’aspetto strutturale della zona, ci consideri”.

Vorreste un incontro con Bianco, dunque?

“Sarebbe auspicabile”.

 

 

 

 

 

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30 Settembre 2013, 07:00

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