Cronaca

Giustizia senza perdono: Brusca e il lutto impossibile da elaborare

di

02 Ottobre 2024, 15:56

3 min di lettura

PALERMO – Ogni volta che si torna a parlare di Giovanni Brusca il dibattito lascia il campo alle polemiche. È accaduto quando l’ex boss godeva di permessi premio fin troppo generosi e quando ha legittimamente lasciato il carcere per fine pena nonostante sia stato il killer di un numero indefinito di omicidi.

“Uno così. Giovanni Brusca”

Si ripete oggi che Giuseppe Siviglia, sindaco di San Giuseppe Jato, paese natio del mafioso pentito, ha deciso di ospitare la presentazione del libro “Uno così. Giovanni Brusca si racconta” in cui dialoga con il sacerdote Marcello Cozzi.

Brusca obbliga la coscienza collettiva a riconoscere l’impossibilità di elaborare il lutto. L’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo – rapito, strangolato e sciolto nell’acido a 12 anni su suo ordine – non annovera il perdono fra le umane possibilità.

“Brusca da sempre divisivo”

Brusca è sempre stato un personaggio divisivo. Qualcuno lo avrebbe voluto morto – “occhio per occhio, dente per dente” -, ma lo Stato con lui ha raggiunto un accordo negli anni in cui la mafia sembrava invincibile: niente ergastolo in cambio di informazioni. I pentiti erano l’unica arma a disposizione nell’Italia delle stragi.

Nel 2021 Brusca è tornato libero dopo avere scontato 25 anni di carcere in virtù di quel patto. Non gli è stato fatto un favore. È legittimo che provochi il voltastomaco, ma è così. Semmai bisognava chiedersi se fosse stato fino in fondo leale con lo Stato.

“Prezioso e allo stesso tempo ondivago”

Preziosissimo e attendibile su tantissimi argomenti, ondivago su altri. Sul cosiddetto papello (le richieste di Riina per fermare le stragi del ’92, sulla trattativa Stato-mafia, sul ruolo di Vito Ciancimino e Marcello Dell’Utri i suoi ricordi si sono accesi a distanza di anni dall’inizio della sua collaborazione.

E dire che una legge obbliga i collaboratori di giustizia a raccontare entro sei mesi tutto ciò che sanno. Altro che acrobazie della memoria e ricordi fuori tempo massimo.

Articoli Correlati

Mannino e la Trattativa

Ad esempio si era “dimenticato” di riferire che “Calogero Mannino, a suo dire, traccheggiava con i mafiosi” quando fu citato nel processo in cui l’ex ministro democristiano fu processato e assolto dall’accusa di mafia.

Anzi aveva proprio escluso la circostanza su specifica domanda, salvo sostenere il contrario con dovizia di particolari al processo sulla Trattativa. All’improvviso gli era tornata la memoria. Nel frattempo incassava permessi premio per trascorrere le feste di Natale a casa prima della definitiva scarcerazione.

Il dolore di una madre

In questa nuova vicenda legata al libro in fin dei conti nessuno ha torto. O meglio ha ragione Franca Castellese, la mamma del piccolo Di Matteo, che ha chiamato al cellulare il sindaco di San Giuseppe Jato Giuseppe Siviglia per manifestargli il suo risentimento. E il sindaco ha mostrato comprensione nei confronti della donna pur ritenendo di essere nel giusto.

La sua ferita di madre è eternamente aperta, il solo sentire pronunciare il nome del carnefice del figlio provoca sensazioni inimmaginabili. Difficile sapere come sia stata veicolata e recepita la notizia della presentazione del libro.

Non ha torto il sindaco quando dice che “per combattere il male bisogna conoscerlo”. Non ha torto il consigliere di opposizione Maurizio Costanza quando spiega che “per un argomento così delicato serviva condivisione, Brusca non è un modello per lanciare un messaggio alle nuove generazioni”.

Brusca resta divisivo. Al netto delle polemiche ci sono due temi che non vanno sottovalutati. Li mettono sul piatto il sindaco e il consigliere di opposizione. Siviglia sostiene che il libro di Brusca serva per lanciare un messaggio forte e chiaro “alla zona grigia che ancora in paese c’è. Non è più il paese dalla mafia, ma c’è ancora omertà”.

E poi ci sono le domande senza risposta a distanza di quasi trent’anni dall’orrore per la morte del piccolo Giuseppe Di Matteo: “Perché la mafia ha avuto il suo epicentro a San Giuseppe Jato? Interroghiamoci, parliamone tutti insieme. – dice Costanza -. Se San Giuseppe Jato ha un debito con lo Stato, perché è qui che sono nati certi mafiosi, lo Stato ha un debito con San Giuseppe Jato. Al di là della retorica, delle parole e dei soldi calati dall’alto con i progetti per la legalità, i Pon e quant’altro, cosa ha fatto davvero lo Stato per creare sviluppo e lavoro per i nostri giovani?“.

Pubblicato il

02 Ottobre 2024, 15:56

Condividi sui social