14 Aprile 2013, 15:22
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PALERMO- Il miracolo non c’è stato, nonostante l’attesa, nonostante San Nino. Il Palermo atterra sul campo dei suoi limiti consueti. La magica inerzia della doppia vittoria con Roma e Samp si esaurisce in un pareggino insulso. Eppure, il miracolo era nell’aria. Mezzogiorno di speranza. Tutto comincia con lo stupore dei gatti, sopraffatti da un vocio insolito nell’ora della tranquillità. I gatti di via Dei Nebrodi e di Via De Gasperi osservano lo spettacolo di un popolo in viaggio, la gente rosanero. Spinterogeni accatastati uno sull’altro, macchine parcheggiate in sesta fila: scena incivile, ma foriera di un ritorno a casa. La passeggiata verso il “Barbera” straripante di perepeppè, risate e volti distesti. Avrebbe mail il Bologna osato opporsi alla forza di una tale moltitudine? Con un filo di luce nel cuore, come da una porta socchiusa, abbiamo galleggiato, più che camminato in uno spettacolo che non si vedeva da tanto, complice il sole.
Dal “carciofo”, il monumento alla fertilità ribattezzato dai palermitani con un appellativo da verdumaio, in avanti, fino a scorgere uno spicchio colorato di curva, dall’ingresso della tribuna. E’ fatta, è fatta. Il pensiero è stato dolce, almeno finché è durato.
Poi ci si è messo il Palermo, cavalcando con coraggio e passione per venti minuti. Ilicic ha segnato da Ilicic. Tiro al palo opposto. Quando gioca così è un piacere ammirare lo sloveno che parla il linguaggio del fuoriclasse. Piace di meno, Ilicic, se si lascia imprigionare dal suo doppio, dal gemello cattivo che riesce a legarlo in una ragnatela di passaggetti senza scopo.
Dunque, uno a zero e grande fiducia sulle tribune. Colleghi ai microfoni rossoblu, ammosciati. Pioli, immobile, a braccia conserte. Sannino in triplici giravolte su se stesso, alla stregua di un derviscio ammattito. Ma l’imponderabile è sempre in agguato nelle cose nostre di questo disgraziatissimo anno. Rammendiamo il filo di una memoria sportivamente atroce. La palla che non esce. Il tocco all’indietro per la comoda pedata liberatoria di Sorrentino. Solo che il portiere è vittima di se stesso. Si tuffa e mentre si tuffa capisce che non può prenderla con le mani. Sarebbe punizione a due in area. Stefano, chissà perché, guarda il pallone che sfila sotto la sua pancia. Arriva Gabbiadini, ringrazia e fa uno a uno. E ha la buona grazia di non esultare per non spargere sale sulle ferite. Lo stadio generoso applaude. Il colpevole alza le mani, si scusa. Alla fine è un gran portiere. Si riparte.
Ma il tarlo del dubbio si è già insinuato nella fragilità di giocatori che ne hanno subite troppe, per sopportare oltre. La manovra diventa meccanica e involuta, in un revival del gasparinesimo. Tu la dai a lui, lui la dà a me, io la do a te, tu lanci e la prendono gli altri. Tutto un tempo così, spezzato dal palo di Miccoli, un colpo di biliardo piegato dalla sfortuna. Ed è la sfortuna ad accompagnare un campionato che sa di Via Crucis. Ilicic, nella ripresa si fa male. Esce. La luce si spegne. Sannino insiste nell’errore di Gasp: Miccoli+Dybala =0. E si vede. Non ne imbroccano una. Non si tira in porta. Il Bologna reclama a ragione per un rigore che pare netto, strattonata su Gilardino liberato da un disimpegno assurdo. Ci sarebbe forse un rigore pure per il Palermo, un doppio contatto in area. Niente. L’implacabile Doveri non fischia.
E non fischia nemmeno un pubblico, stremato. Qualche pappagallo chiacchiera di combine, altrimenti come avremmo vinto con la Roma e a Genoa? Scendendo le scale dalla tribuna, appare improvvisa la foto di Pastore con la scarpetta rossa in mano. Ah, che male che fa.
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14 Aprile 2013, 15:22