Storie di mafia, morte e soldi | Ecco il primo verbale di Giovanna Galatolo

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07 Novembre 2013, 19:48

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PALERMO – “Io sono figlia di Galatolo Vincenzo detto Enzo, il boss dell’Acquasanta”. In una località segreta. Sotto protezione, Giovanna Galatolo volta le spalle alla sua famiglia. Famiglia di sangue e di mafia. La donna, alla soglia dei cinquantanni, ha deciso di diventare una collaboratrice di giustizia. Ed eccolo il primo verbale in cui parla di latitanti, omicidi, affari e prestanome. Un intrigo a cui S dedica la copertina del prossimo numero in edicola da sabato, ma già acquistabile online cliccando qui. Ne viene fuori – seppure le dichiarazioni siano riportate solo in forma riassuntiva e piene di omissis – il quadro di un clan, quello dei Galatolo, ricco e potente. Il bastone del comando resta saldamente in mano al padre della collaboratrice che detterebbe gli ordini dal carcere dove sta scontando l’ergastolo.

Le dichiarazioni della donna, che vuota il sacco per garantire un futuro migliore alla figlia minorenne, entrano per la prima volta in un processo. Si tratta di quello che vede imputati Angelo Galatolo e Franco Mineo, ex deputato regionale di Grande Sud, accusato di intestazione intestazione fittizia di beni aggravata, peculato, malversazione ed usura. Mineo, secondo i pm avrebbe fatto da prestanome a Galatolo, esponente dell’omonima famiglia mafiosa dell’Acquasanta, al quale avrebbe versato gli affitti riscossi in alcuni locali commerciali.

La donna non ha precedenti penali. Da oggi, però, è indagata per reato connesso. Non poteva essere altrimenti, visto che le sue dichiarazioni minano al cuore il mandamento mafioso retto dal padre. “Sono a conoscenza di fatti relativi a Cosa nostra – mette a verbale davanti ai pubblici ministeri Dario Scaletta e Pierangelo Padova – in quanto spesso ascoltavo quanto diceva mio padre con i suoi familiari e i sodali. Io non facevo parte dell’associazione però in diverse occasioni mi sono occupata di ripulire le abitazioni che avevano ospitato latitanti, lavare vestiti di latitanti imbrattati di sangue. Per esempio – prosegue – ricordo che Ciccio Madonia. Ciccio Di Trapani al tempo della loro latitanza spesso frequentavano casa di mio padre”.

Passato e presente del clan che domina su una grossa fetta della città: “Oggi le persone più attive nel territorio dell’Acquasanta sono mio padre, Stefano Fontana deceduto da poco, i suoi figli Gaetano, Giovanni, Angelo che spacciano stupefacenti e si dedicano ad attività estorsive anche se la raccolta estorsiva è una prerogativa dei Galatolo”. Poi nel verbale c’è una parte omissata che si interrompe quando la Galatolo chiama in causa “i figli di Gaetano Galatolo, Angelo e Giovanni, sono organici alla famiglia dell’Acquasanta, son attivi nel settore immobiliare”. Anche qui c’è una parte di nomi omissati. Tutta gente finora sconosciuta alle forze dell’ordine. Ed ancora. “Mio cugino Angelo di Gaetano è da qualche anno attivo nel territorio di Carini”.

Poi, la conferma, l’ennesima, che un capomafia non perde il suo scettro. Mai. Si resta al vertice per sempre. Fino alla morte. Accade anche per don Vincenzo Galatolo condannato al fine pena mai per l’omicidio del generale Carlo Alberto dalla Chiesa e coinvolto nell’inchiesta sul fallito attentato dell’Addaura a Giovanni Falcone. “Mio padre impartisce dal carcere le sue direttive – racconta la figlia – . So per averlo appreso da mia figlia che mio fratello Vito ha avuto un colloquio con lui di recente”. Ed ancora tante righe coperte da omissis.

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Un capitolo dell’interrogatorio è dedicato agli affari del clan, capace di investire fiumi di denaro. La Direzione investigativa antimafia, nei mesi scorsi, su richiesta della Procura di Palermo ha disposto il sequestro preventivo di alcuni locali di proprietà di Mineo che ospitano delle attività commerciali: si tratta del bar Nuova Esedra, di una merceria e del negozio di abbigliamento Vegard. Tutti gli immobili si trovano nel quartiere dell’Acquasanta, a Palermo, quello da cui proviene il deputato che ha respinto, in una lunga audizione, ogni accusa. Giovanna Galatolo non ha dubbi: “Il bar Esedra era gestito da mio zio Giuseppe che lo aveva affidato ad una sua amante soprannominata ‘la napolitana’. So che è rimasto nell’orbita di cosa nostra anche dopo la sua cessione. So che mio cugino Angelo di Gaetano aveva interesse in questo bar. So che il negozio Vegard era di interesse di mio cugino Angelo il quale era in società con un certo Barbaner; accanto a questo negozio c’era un altro esercizio chiamato Proibito e Angelo investiva i soldi della famiglia Galatolo”.

Infine le mostrano un album fotografico. Di molte persone la donna dice di non sapere chi siano, ma quando le pronunciano i nomi conferma di averne sentito parlare. Quando le mettono davanti agli occhi lo scatto che ritrae Franco Mineo la Galatolo non lo riconosce, ma dice di ricordare “che persone che si chiamavano Mineo frequentavano la famiglia di Di Trapani, Ciccio e Nicola, avevano intestato dei beni a tale Mineo ditte che costruiscono infissi siti in via don Orione e via Montalbo”. Stessa cosa con la foto di Filippo Franzone (nato a Palermo, classe 1970). “Non lo riconosco, tuttavia ricordo che i Franzone erano dei ragionieri che si occupavano della contabilità delle ditte che operavano nei cantieri navali; in particolare di essermi recata presso il loro studio su incarico di mio padre”. Le fanno vedere anche le foto di Pietro Magrì (nato a Palermo nel 1949) “Mi sembra una persona che conosco ma non ricordo il nome”), Domenico Franzone, nato a Frenze nel 1958, (“Non lo riconosco”), Pietro Scotto (“Sentendo il suo nome ricordo di averne sentito parlare”), Vittorio Franzone, di Mistretta, classe 1938, (“Non lo riconosco”), Pietro Imborbone, nato a Partinico nel 1931, (“Mi sembra di conoscerlo, ma non ricordo il nome”), Andrea Mineo, nato a Palermo nel 1931, (“Mi sembra di conoscerlo, ma non ricordo il nome”), Getano Scotto (“Ne ho sentito parlare, ma non lo conosco personalmente”).

La citazione dei fratelli Pietro e Gaetano Scotto dimostrano che i pm hanno tutto l’interesse a sfruttare le conoscenze della Galatolo per fare luce suo tanti, troppi dubbi sulla stagione stragista. Pietro era stato accusato e condannato con l’accusa di avere intercettato il telefono della madre del giudice Paolo Borsellino. In appello, però, è stato del tutto scagionato. Così come il fratello Gaetano è fra le persone scagionate in seguito alle dichiarazioni di Gaspare Spatuzza che hanno spazzato via la finta verità costruita sulle dichiarazioni di Vincenzo Scarantino.

Nessun dubbio, invece, nel riconoscere la foto dell’imputato Angelo Galatolo, a cui addossa alcune pesanti responsabilità: “Fa l’usuraio, ha interesse nelle cooperative che operano nei cantieri navali, ha interessi in ditte che producono sacchetti, piatti, bicchieri e posate di plastica. So che riscuote somme a titolo di estorsione … omissis”. E non è tutto: “Suo padre deteneva la cassa della famiglia: gli ho personalmente consegnato i soldi di mio padre; lui nella gestione della cassa si fa aiutare da suo figlio angelo”.

E di nomi e cifre è pieno zeppo “un libro dove è annotato tutto, i soldi custoditi in libretti postali intestati a prestanome. So che suo suocero viene utilizzato come prestanome”.

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07 Novembre 2013, 19:48

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