16 Marzo 2017, 18:39
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PALERMO – Febbraio 2010. Enzo Fragalà viene pestato a morte. Tre mesi dopo, il 20 maggio, la scena si ripete. Stessi protagonisti, stesse modalità. Cambia la vittima e l’epilogo. Al collaboratore di un architetto fratturarono il braccio e la mano. Gli diedero una lezione. I carabinieri lo trovarono seduto in macchina. Aveva il volto pieno di sangue. Agli investigatori disse di non avere riconosciuto gli aggressori. Nessuna idea sul movente del pestaggio.
L’inchiesta sull’omicidio del penalista consegna alle cronache lo spaccato di una Palermo dove cova ed esplode la violenza. Nel sottobosco dei rioni popolari si muove gente spietata. Vale la legge di Cosa nostra, la legge del più forte. Chi sbaglia, paga. È accaduto, con la più drammatica delle conseguenze, all’avvocato Fragalà. È andata meglio ad altri in una macabra scala del dolore e della sopraffazione.
Sono le 20.50 del 20 maggio di sette anni fa. Un uomo si allontana dallo studio di un architetto al termine di una lunga giornata di lavoro. Ad attenderlo sotto casa trova, secondo la ricostruzione dei carabinieri, Salvatore Ingrassia, Francesco Castronovo e Antonino Abbate, tre dei sei arrestati di ieri per l’omicidio Fragalà. La convocazione partì da Abbate: “Dobbiamo andare a fare quel discorso, il martello ancora là sotto ce l’hai, sotto al sella?… come ce la rompi la testa ci devi ballare di sopra… neanche voglio farmi vedere, quello che mi ha combinato ieri.. ti vai a posizionare… fai finta che passeggi hai capito? Col martello”. Castronovo aveva capito fin troppo bene quale fosse il suo compito: “Lui se ne va con il sangue dalla bocca”. Lo picchiarono con un bastone di legno e fuggirono. Abbate al volante di una Smart, Ingrassia e Castronovo in sella a una Vespa Piaggio.
Violenti per strada e violenti pure dentro il carcere. Il collaboratore di giustizia Francesco Chiarello svela i retroscena di un altro pestaggio. Un commento di troppo e scattò la ritorsione. Un detenuto si era permesso di definire “fortunati” Salvatore Ingrassia e Antonino Siragusa il giorno in cui, nel 2014, furono scagionati e scarcerati nell’ambito della prima indagine sull’omicidio Fragalà. Il commento all’interno del Pagliarelli non era piaciuto a Francesco Arcuri, pure lui accusato dell’omicidio. La vittima del pestaggio si sarebbe confidato con Chiarello, che lo ha riferito ai pm: “Mi, si è arrabbiato? Lo ha massacrato a bastonate gli dico che gli ha fatto un occhio nero”. Il detenuto, però – così risulta nel registro carcerario – ha dichiarato di essersi fatto male da solo, cadendo mentre giocava a pallone durante l’ora d’aria.
Sul conto di Salvatore Ingrassia Chiarello riferisce che “faceva le estorsioni”, ma si occupava anche di “dare legnate alle persone”. Uno spacciatore che invade una piazza senza autorizzazione merita di essere punito: “Sia lui che Castronovo gli hanno dato legnate a due ragazzi… che sono venuti a spacciare dentro la nostra zona”.
E poi ci sono i riottosi. Coloro che non vogliono piegarsi alla regola del pizzo. “C’è un certo Marcello Argento di Altarello – mette a verbale Chiarello – che aveva bisogno di persone che dovevano dare colpi di legno a una persona che non non voleva pagare il pizzo. Questo me lo ha raccontato Salvatore Ingrassia, Argento sarebbe un ragazzo che è capofamiglia ad Altarello”. Il pestaggio sarebbe stato eseguito da “Paolo Cocco, Salvatore Ingrassia e Francesco Castronovo… un negoziante che non voleva pagare, nel 2009, 2010… Paolo mi ha spiegato che ci rettiru colpi di legno… lo dovevano fare con martello ma poi hanno deciso di fare in un’altra maniera…”. L’arma, un bastone di legno, finisce per essere il loro segno distintivo di un clan: “Lo hanno mandato all’ospedale, gli hanno rotto una costola”. “Legnate” avrebbe preso anche il titolare di una parruccheria del centro città “che non voleva pagare”.
Violenza, ancora violenza. Con le bastonate fu regolata la vicenda di un furto. Era il 2008, “una ragazza piangeva assieme al ragazzo che c’avevano fregato una Smart”. Chiesero aiuto a Chiarello: “Io rintraccio Paolo Cocco insieme a Cristian Guardabasso che ci dico ‘ma ne sai niente’? Che lui ci dice a Michele Ciordaro ‘pure se viene Francesco, che sarei io, macchina non gliene diamo lo stesso… nella piazza glielo dati… buono buono…”. Chiarello non ebbe paura della reazione della vittima, che vantava una parentela di peso nello scacchiere mafioso di Porta Nuova: “Mi manda a chiamare Nino Ciresi ‘ma tu come ti permetti a dargli legnate sapendo che è mio nipote?”. La risposta secca – “perché suo nipote fece ste cose” – non provocò reazione in Ciresi, pure lui arrestato e sotto processo per mafia.
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16 Marzo 2017, 18:39