30 Novembre 2020, 05:58
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PALERMO – Ci sono già delle certezze, ma anche dei segnali che l’inchiesta sul giro di tangenti nella sanità siciliana è un pentolone che ribolle.
Stando alle indagini che finora si conoscono e alle confessioni dell’imprenditore agrigentino Salvatore Manganaro, la sanità siciliana che oggi cerca di resistere al Covid è stata per anni terreno di caccia di corruttori, corrotti e affaristi.
Le mazzette che sarebbero state versate a Manganaro, e che ora gli vengono contestate, sono lievitate da 300 mila euro a un milione perché altri illeciti sarebbero emersi nell’aggiudicazione di una gara. Un milione è la cifra che l’imprenditore, divenuto grande accusatore, deve pagare per chiudere la sua vicenda giudiziaria. La Procura ha dato il libera al patteggiamento a 4 anni e 2 mesi di carcere a condizione che restituisca i soldi.
L’ipotesi iniziale è che Manganaro, assieme a Fabio Damiani (ex manager dell’Asp di Trapani, uomo chiave delle indagini, responsabile della centrale unica di committenza), quando quest’ultimo era provveditore per gli acquisti dell’azienda sanitaria provinciale di Palermo, avrebbero incassato una tangente di 100 mila euro.
Soldi che servirono per fare vincere alla società Siram l’appalto per la gestione degli impianti tecnologici dell’Asp. Una commessa pubblica da 126 milioni di euro. È stato lo stesso Manganaro a riferire al procuratore aggiunto Sergio Demontis e ai sostituti Giovanni Antoci e Giacono Brandini dell’esistenza di un contratto fra una delle sue società e Siram per occuparsi di progettazione.
Secondo Manganaro non si trattò, dunque, di una tangente e spera di convincere i pm che la pensano in maniera opposta e vogliono indietro tutti i soldi. Anche quel contratto rientrava nel patto illecito. Una copia è custodita nel Nas, l’archivio segreto di Manganaro e Damiani su cui lavorano i finanzieri del Nucleo di polizia economico finanziaria.
Altro punto fermo nell’indagine è stato fissato dalle richieste di patteggiamento avanzate da Roberto Satta, manager di Tecnologie Sanitarie, (5 anni) e da Ivan Turola, della Fer.Co Srl (quattro anni e mezzo). In caso condanna per tutti gli altri imputati che hanno scelto riti alternativi è difficile ipotizzare pene inferiori.
“Non ho influito sulla nomina di Damiani, anche perché non potevo farlo”: così disse ai pubblici ministeri l’imprenditore milanese Turola. Sua sarebbe stata la mediazione per sponsorizzare la nomina di Damiani alla guida dell’Asp di Trapani.
Turola sarebbe voluto arrivare a Gianfranco Miccichè, tramite il fratello di quest’ultimo, Guglielmo. Il presidente dell’Ars, quando vennero fuori le conversazioni fra Damiani e Manganaro, smentì con forza di essersi mosso in favore di Damiani e annunciò querele.
Damiani, Turola e Guglielmo Miccicichè si videro al bar Spinnato di via Principe di Belmonte a Palermo e qui, raccontò Turola, il fratello del presidente dell’Ars “nemmeno aveva capito il nominativo e l’aveva confuso con il mio”.
Nessuna ingerenza, dunque. Così disse Turola che ora vorrebbe chiudere la sua vicenda giudiziaria con un patteggiamento. Al ruolo di Turola è dedicato un passaggio delle confessioni di Manganaro: “Confermo quella intermediazione del Turola in favore di Damiani nei confronti di Micciché e il riconoscimento di un premio per me di euro 230.000 a contratto della gara delle pulizie firmato. Damiani per parte sua doveva ritenersi soddisfatto dal successo della sua nomina. Così avevo neutralizzato eventuali richieste di denaro di Damiani”.
Damiani che, secondo l’accusa, avrebbe accumulato soldi e potere gestendo piccoli e grandi appalti tanto da meritarsi l’appellativo di “Sorella sanità” che dà il nome all’intera inchiesta. Damiani, però, in una lettera indirizzata ai pubblici ministeri si definisce vittima di un sistema in cui l’ingerenza della politica è totale e non intende pagare per tutti.
Nella missiva fa i nomi di personaggi al vertice della politica regionale, con incarichi istituzionali, rappresentanti di partito e assessori di giunte di governo, vecchie e nuove, che con la sanità e grazie alla sanità avrebbero acquisito consenso elettorale e posizioni di potere.
L’inchiesta copre un arco temporale che inizia quando era il centrosinistra a guidare la Regione (tra gli indagati c’è l’ex manager Antonio Candela, divenuto simbolo della legalità nell’era Crocetta) e arriva fino ai giorni nostri. Ed è ancora una volta Manganaro (il nuovo numero del mensile S in edicola pubblica tutti i verbali integrali dell’imprenditore) a riferire che per gestire una gara, su cui le indagini sono ancora in corso, “nell’ufficio di Damiani” si presentò un nuovo referente per una società di Catania, che “in quel momento era espressione di una compagine politica di centrodestra che da li a poco avrebbe vinto le elezioni regionali”.
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30 Novembre 2020, 05:58