05 Gennaio 2017, 20:31
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CATANIA – Sono trascorsi 33 anni dalla sua uccisione, ma Catania non dimentica. E anche quest’anno la città si è stretta nel ricordo di Pippo Fava, il giornalista assassinato dalla mafia per aver svelato e denunciato connivenze e interessi della criminalità organizzata. Una commemorazione volutamente “poco formale”, così come l’ha definita Maria Teresa Ciancio, presidente della fondazione Fava, e resa speciale dalla presenza dei bambini delle orchestre Musicainsieme Librino e Alkantara alla Civita. Un corteo “muto e duro” è partito da Piazza Roma nel pomeriggio verso via Fava, luogo dell’uccisione. “Le associazioni che hanno aderito all’iniziativa – ha detto Ciancio – hanno scelto il silenzio come metodo migliore per commemorare la memoria di Fava”. A prendere parte numerose associazioni. “Ci auguriamo sempre che le celebrazioni in memoria di Fava siano occasione di valorizzazione dei principi da lui trasmessi e non occasione di palcoscenico. Quest’anno abbiamo voluto lavorare con i ragazzi e per i ragazzi dell’orchestra provenienti da quartieri difficili”.
Poco dopo l’arrivo del corteo in via Fava davanti la lapide del cronista ucciso, i cori riuniti delle orchestre Musicainsieme Librino e Alkantara alla Civita, sotto il gelo tagliente, hanno intonato alcuni brani. A seguire il comune di Catania ha donato loro un violino, mentre la fondazione Fava ha dato in dono una tromba, in memoria di Elena, la figlia di Pippo scomparsa due anni fa. “Fava ha lasciato un’orma talmente forte che – continua la presidente – ancora a distanza di così tanti anni, gli amici sostengono la fondazione tramite fondi”. Nella giornata sono seguiti dibattiti e incontri. “Sono contenta – ha continuato – se riusciamo a far passare i messaggi di Fava, a questo servono le celebrazioni come questa. Nella sua lezione delinea un quadro nitido della mafia: rimboccatevi le maniche e smettete di andare tranquilli con la coscienza, contribuite tutti ogni giorno anche nelle piccole cose a lottare consapevolmente contro la mafia”.
Ma c’erano davvero tutti questo pomeriggio, i nipoti e anche il figlio, il deputato Claudio Fava che commosso ha lasciato un fiore sotto la lapide. Fra i presenti anche il giornalista, Riccardo Orioles a cui Fava dedica alcune parole: “Questa serata non serve solo per ricordare la memoria di mio padre, ma per dare un senso concreto a quello che è accaduto. In questo momento si stanno raccogliendo migliaia di firme che verranno portate alla presidenza del Consiglio dei ministri per concedere i benefici previsti dalla legge Bacchelli a Riccardo Orioles. Se c’è qualcuno che più di tutti gli altri ha rappresentato la battaglia civile di quegli anni di mio padre e successivamente insegnato questo mestiere, questo è lui”.
“Non c’entra la mafia con l’uccisione di Fava”, scrissero. Quella bugia che uccise due volte il giornalista che non aveva mai omesso di raccontare la verità per fare comodo a qualcuno. La voce dirompente che attraverso le sue inchieste si ribellò all’omertà, alla corruzione e all’ipocrisia di allora. Proprio negli anni ruggenti segnati dalla scalata di ‘cosa nostra’. La stessa voce che, oggi come ieri, rimane un esempio di libertà e un modello mirabile di coraggio per una città che non ha vinto ancora del tutto la mafia e meno ancora l’omertà. “Catania è una città irrisolta – ha detto Claudio Fava – Sicuramente meno ostaggio e meno schiava dei poteri rispetto a trentacinque anni fa. Ma la nomenclatura del potere mafioso si declina ancora usando gli stessi cognomi di allora: Ercolano, Santapaola, Mazzei. Esattamente come trentacinque anni fa”. Una città afflitta da mille contraddizioni. “Catania un terzo di secolo fa ha conosciuto la drammatica parabola dei cavalieri del lavoro raccontata dai siciliani. E oggi si ritrova il più grande imprenditore del mezzogiorno accusato dalla Procura di essere stato colluso con la mafia”. Un accenno alle presunte infiltrazioni mafiose in Consiglio comunale. “Non credo esistano Comuni – ha proseguito Fava – in cui ci siano insediati parenti dei mafiosi senza che ci sia una punta d’imbarazzo” afferma. E aggiunge: “Se il fratello di Casamonica a Roma fosse diventato presidente della Municipalità credo che se ne sarebbero accorti tutti, qui a Catania invece non succede nulla”. Fava qui allude a Lorenzo Leone, presidente della sesta municipalità, fratello di un condannato già detenuto da anni .
Ma la commemorazione di Fava oggi ha coinvolto anche il teatro Verga. Dopo il
presidio alle ore 18:00 gli attori della scuola del teatro Verga hanno letto, con interventi musicali dell’orchestra Musicainsieme Librino, una lezione sulla mafia, tenuta da Giuseppe Fava agli alunni di Palazzolo Acreide il 22 dicembre del 1983. Quella lezione in cui Fava spiegava che i siciliani sono tutti mafiosi, “perché la mafia è parte della nostra cultura, perché ce la portiamo dentro da tre mila anni”. E nella quale spiegava che essa è “potere, padroni, feudo, avidità, obbedienza, menzogna, furbizia”. “Gli avevo sentito anche io fare quel discorso migliaia di volte – racconta Claudio Fava nella prefazione del testo della lectio magistralis – e finivamo sempre tutti per sentirci colpevoli, ignavi e arresi davanti all’evidenza della storia che ci trascina come tappi di sughero. Rileggendo le parole di mio padre mi viene da pensare quanto candore e ottimismo ci fosse nei suoi racconti, e quel modo di chiamarci tutti mafiosi era solo un pretesto per chiederci un gesto di rabbia e dignità” – conclude Claudio Fava.
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05 Gennaio 2017, 20:31