19 Giugno 2013, 13:10
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PALERMO – “Mi ha annullato come persona e come uomo”. Le sue dichiarazioni hanno “scoperchiato” il ‘sistema Giacchetto’. A parlare è uno dei pentiti che, con le sue dichiarazioni, ha descritto nei dettagli il fitto intreccio tra burocrati, politici, esperti della comunicazione finito al centro dell’inchiesta. Il pentito in questione è il titolare di una società riconducibile a Giacchetto. Che nel giro di poco tempo ne diventerà il “dominus”. L’amministratore “di fatto”.
“Conosco Giacchetto Faustino nel 2003 – racconta il pentito agli inquirenti – e da allora, con il senno di poi, posso affermare che sono iniziate tutte le mie disavventure. Inizialmente ho ritenuto il Giacchetto una persona perbene e corretta ma, con il passare degli anni, così non si è rivelato”. Il project manager, stando al racconto fornito agli inquirenti, avrebbe “convinto” il pentito a costituire una società di comunicazione. “Sono in imbarazzo nel rendere queste dichiarazioni – continua – ma, in pratica, col tempo sono diventato un factotum di Giacchetto che, a fronte della corresponsione di uno stipendio mensile di circa € 3.000, mi dava indicazioni sul come gestire le società. Dal 2008 ad oggi, tutte le operazioni commerciali e finanziarie poste in essere da quest’ultime società sono state ideate e gestite dal Giacchetto Faustino che si avvale della mia prestazione”.
“Col passare degli anni – prosegue il pentito – la mia soggezione nei confronti del Giacchetto è aumentata a dismisura: mi ha psicologicamente annullato come persona e come uomo, tutte le mie azioni sono state e sono tuttora da lui completamente controllate”. E Giacchetto avrebbe controllato anche le società formalmente in mano al pentito. Società tramite le quali il project manager si concedeva – stando al racconto del collaboratore – diversi “benefit”: “Giacchetto – prosegue il pentito – utilizza due carte di credito prepagate (modello Super Flash) della Intesa Paolo che mi fa periodicamente ricaricare, una autovettura Audi A1 ed una Mini Country Man, attraverso la sovra-fatturazione di alcune fatture emesse dall’U.S. Palermo Calcio S.p.A. per delle pubblicità, il Giacchetto poteva ottenere degli abbonamenti per le partite di calcio del Palermo (…)”. E dal racconto del pentito spuntano anche viaggi in tutto il mondo con molti dei politici arrestati e indagati, e persino la spesa di 110 mila euro per l’acquisto di cinque orologi di lusso. E a “pagare”, come detto, ci pensava il pentito, attraverso le società di cui era formalmente il titolare, ma dove Giacchetto versava i proventi della propria attività.
“Per il lavoro che lui mi garantiva – spiega il pentito – io dovevo sentirmi sempre in debito con Giacchetto e mai chiedere compensi e/o utilità per i favori, spesso indebiti, che mi chiedeva, anzi che mi imponeva. Ribadisco lo stato di sudditanza psicologica dovuto anche a delle minacce che, in più occasioni, mi sono state formulate o in modo esplicito (in più occasioni mi ha esclamato “ti ammazzo”) o in modo tacito (ad esempio, mi prospettava il licenziamento o la mancata corresponsione dello stipendio)”.
Avvertimenti che avrebbero spaventato il collaboratore: “Le minacce del Giacchetto mi intimorirono molto e così ho provveduto ad eseguire le direttive da lui impartite”. Ed è qui che il pentito entra nel dettaglio del “sistema Giacchetto”: la società otteneva cospicue somme da enti come il Ciapi attraverso “la stampa e la registrazione nella contabilità di numerose fatture false riportanti, come emittenti, denominazioni di fantasia (traendo ispirazione da imprese reali che leggevo su internet). La descrizione e gli importi di dette fatture false, – spiega il pentito – invece, rispettavano le indicazioni fornitemi dal Giacchetto in merito alla “copertura” degli acquisti di materiale che veniva fatturato ai clienti”. Fatture completamente false per servizi mai forniti, ma ben remunerati dai soldi che giungevano dall’Europa al Ciapi. O fatture gonfiate, tramite la consegna di quantitativi di merce inferiori a quelli previsti. “In merito, devo precisare che anche tutte le fatture che la società ha emesso nei confronti del Ciapi relativamente alla fornitura di stampe tipografiche (es. dépliant, brochure, dispense, etc.) e di materiale promo-pubblicitario (es. cappellini, gadget, etc.) sono gonfiate in quanto riportano quantitativi di merce superiori di quelli effettivamente fatturati”.
“Col passare del tempo la società, sebbene da me formalmente amministrata, – prosegue nel suo racconto il pentito – è diventata una società del Giacchetto che mi richiedeva, ad esempio, di emettere fatture per delle forniture che, di fatto, la società non eseguiva ovvero eseguiva solo parzialmente, di sottoscrivere documentazione varia, di incassare dei pagamenti per poi restituirgli il denaro in contanti”. Fino a una richiesta “insolita”: il pagamento di un bonifico da 3 mila euro alla soubrette Sara Tommasi. Così il pentito racconta quel fatto: “Dopo avermi consegnato un foglio di carta con l’indicazione dell’Iban della Tommasi, dopo qualche giorno il Giacchetto mi fece avere una bozza di contratto di cessione di diritti di utilizzo d’immagini fotografiche tra la società e la Tommasi Sara affinché lo firmassi. Non avendo mai ricevuto il contratto firmato dalla controparte né la fattura per il bonifico effettuato alla Tommasi chiesi notizie al Giacchetto che mi fece intendere che non si trattava di un servizio fotografico ma di un pagamento per delle prestazioni di altra natura”. Accuse, ovviamente, tutte da verificare. Ma il pentito ha certamente alzato il velo sul “sistema Giacchetto”.
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19 Giugno 2013, 13:10