14 Ottobre 2013, 10:47
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PALERMO – Andare allo stadio – forse l’ho già scritto ma mi piace farlo ancora – è respirare la vita come fossi ancora un ragazzino. E’ un’idea, una metafora, un pensiero stupendo. Sempre. Per me, è così da mezzo secolo e passa, e lo sarà fino all’ultimo. A qualcuno, forse di più ai vecchietti come me che ai giovani, che sanno ancora sognare, sembrerà esagerata questa mia “fantasia” e forse lo è, ma io non me ne accorgo, perché da sempre io do ascolto prima al cuore e poi alla ragione.
Con tutti i guai che ne derivano e che ho sempre accettato senza mai battere ciglio. E metto qui il punto, perché capisco ancora quando è il momento di farlo, solo che, dopo quel che m’è toccato di vedere ieri per 94 minuti nel mio stadio (“BENVENUTI – Stadio Renzo Barbera”, così nei megaschermi chi entra viene accolto) non sapevo proprio come cominciare l’articolo. Ieri, infatti, ho assistito ad uno degli spettacoli (che parolona) peggiori mai visti nella mia lunga milizia rosanero. Da parte del mio Palermo, s’intende perché l’altra squadra il suo dovere l’ha fatto, ha giocato al calcio e pure bene, ha schiacciato il Palermo nella sua area di rigore e per tre quarti di partita l’ha preso a sberle, ma alla fine non è riuscito neanche a pareggiare il gol iniziale – bello ed abbagliante come una folgore – di Munoz, al primo minuto di gioco. E allora mi chiedo: se abbiamo vinto una partita così difficile, contro un avversario così bravo e bello da vedere, perché gettare veleno e sparare nel mucchio, cominciando dall’allenatore, preso a parolacce (eufemismo) perfino nelle trasmissioni locali del primo mattino? Già, perché?
E’ il mistero del calcio: giochi bene e perdi (vedi Pescara ieri), giochi male e vinci: succede ed anche più spesso di quanto non ammetterebbe uno come Sacchi, che passa per il rinnovatore del calcio, una specie di scienziato del gioco del pallone, che, però, alla fine se ne infischia di tattiche e bel gioco e gli basta un colpo di testa per rimandarti a casa con le pive nel sacco. E’ quel che è successo ieri al bravo Pasquale Marino, di Marsala, che sa far giocare bene le sue squadre, le prepara magnificamente per l’attacco ma si scorda spesso che principio fondamentale del calcio, quello che ti fa vincere partite e campionati, non è tanto l’attacco e le sue manovre spettacolari, quanto una difesa arcigna, una specie di bunker, contro il quale si infrangono tutte le velleità bellicose dell’avversario. E un contropiede, giocato come si deve, con ripartenze fulminee che trovano la difesa ospite sbilanciata che non può che subire l’onta di un altro gol.
Questo in teoria, tanto per disquisire in modo forbito di quel che è – o dovrebbe essere – il gioco del calcio e che spesso, invece, fa da sé, inventandosi altre trame e altri finali di partita. Infatti, il Pescara ha attaccato per ottanta dei novanta minuti disponibili, ha rallentato solo sul finire perché stremato, le ha provate tutte, dalle fasce e con verticalizzazioni centrali, ma niente da fare: una volta il palo, un’altra la paratona di Sorrentino e l’ultima l’arbitro che gli ha annullato il gol del pareggio. Così è finita 1-0 per il Palermo, tre punti preziosi dopo una settimana difficile, con cinque cosiddetti titolari out per le varie Nazionali e, alla fine, per il forfait improvviso di Di Gennaro, per non parlare di Lafferty, il nostro unico vero attaccante, che veniva da un infortunio muscolare e non si era allenato quasi per niente.
Tutto questo ed altro ancora – come l’aver sopravvalutato questa estate la “rosa” a disposizione dell’allenatore – spiegano, o dovrebbero spiegare, perché i tre punti colti ieri, ancorché immeritati, siano oro colato, da accogliere come manna dal cielo. E se è vero che, specialmente in serie B, quel che conta è il risultato e non il bel gioco, io dico: teniamoci questi tre punti e consideriamoli un regalo che ci arriva non solo dall’alto, ma anche dal pragmatismo inflessibile di uno come Iachini, un vero maestro a livello di serie B, uno che ha nel curriculum recente tre promozioni di fila in serie A, uno che se ne infischia del bel gioco e punta dritto alla sostanza e la sostanza, da che calcio è calcio, alla fine è sempre e solo il risultato. Quindi, bando a fisime e alle risatacce di scherno per il “non gioco” rosanero di ieri e brindiamo alla vittoria, perché a La Spezia noi giocammo come il Pescara di ieri ma loro fecero un cross qualunque dal fondo, ci mise uno stinco Munoz e tornammo a casa con zero punti. Eppure il giorno successivo nessuno disse che il Palermo meritava di più, ma solo che eravamo scarsi e che “questa squadra non ha dive andare”. E forse è vero anche questo, ma intanto – almeno fino al mercato di riparazione di gennaio – teniamoci questi punti “sporchi” che ci ha fin qui portato la tattica attendista e utilitaristica di Iachini e cerchiamo di star più vicini possibili ala squadra, così da tenerla in piedi anche quando – come ieri – sembra crollare da un momento all’alto.
Com’è successo per quasi tutta la ripresa, giocata solo dal Pescara, che ci ha “scherzato” come e quando voleva, che ha pure segnato, che ha impegnato severamente in più di un’occasione l’ottimo Sorrentino e pur tutto sbilanciato in avanti, tipo Fort Apache, non rischiava nulla dietro, perché il Palermo non mai ha avuto la forza di ripartire in contropiede. E così Iachini, che sotto il suo berrettino blu deve avere antenne speciali, seppure invisibili, ha colto il pericolo e ha messo dentro il mastino numero uno del Palermo, quel Ngoyi che, pur di fermare l’avversario che gli capita tra i piedi, non va certo per il sottile. Poi ha tolto anche lo stremato Lafferty, in evidente difficoltà per la settimana difficile che aveva trascorso, e l’ha sostituito con l’unico attaccante che aveva in panchina: Malele, un ragazzino tutto forza e impeto, ma poco oltre e che comunque si è battuto come un leone, menando calci a destra e a manca e beccandosi subito, al primo impatto, l’ammonizione.
Insomma, Iachini non ha pensato ad altro che a contenere con tutti i mezzi la superiorità tecnico-tattica del Pescara e, visto il risultato, non possiamo che ammettere che ha avuto ragione lui. E al diavolo lo spettacolo, io so che lui ci terrebbe a giocar meglio anche lui ma so anche che ha subito capito che, senza determinati puntelli a gennaio, di spettacolo potrà offrirne poco. Nel frattempo, la sua sagacia e il suo pragmatismo ci garantiranno la scorta di punti necessaria per sperare fino all’ultima giornata nel ritorno in serie A.
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14 Ottobre 2013, 10:47