Saviano a Cinisi: | “Il mio senso dell’onore”

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27 Agosto 2009, 10:02

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La pizzeria Impastato, sulla statale per Cinisi, non è un luogo qualunque. Forse poteva apparirlo a chi vi passava davanti distrattamente fino a qualche anno fa, ma oggi, nell’immaginario collettivo, quel posto ha assunto un significato dal fortissimo valore simbolico. E’ proprio tra questi tavolini, infatti, che riecheggiano le minacce urlate nel film I cento passi, dal boss Tano Badalamenti a Peppino Impastato con tutta la rabbia di chi vede scalfito il proprio potere che trova radice nel terrore e nella sopraffazione. Quel “Nuddu miscatu cu nenti” che, sebbene oggi Peppino non ci sia più, guardando le migliaia di volti giunti fin qui in una calda sera di fine agosto, può anche far sorridere: quel nuddu miscatu cu nenti è diventato un oceano di gente.

Qui, seduto ad un tavolo, c’è un ragazzo sulla trentina. Non è un ragazzo qualunque. Forse poteva apparirlo fino a qualche anno fa, ma purtroppo, nel nostro immaginario collettivo, di quella sua immagine di normalità non ne potremo mai avere memoria. Questo ragazzo, infatti, è Roberto Saviano. L’autore di Gomorra. Il libro-inchiesta sulla camorra che con le sue verità ha creato più clamore di cento confessioni di pentiti e che adesso, per un’assurda legge del contrappasso, non dà pace al suo autore stesso, costretto a vivere una vita che non è vita; circondato, blindato, da una specie di bunker umano che lo veglia ogni volta che fa un passo.

Saviano è a Cinisi, insieme al procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, in virtù di una promessa fatta tempo fa a Giovanni Impastato, il fratello di Peppino. Lo scrittore napoletano sarebbe venuto a Cinisi per partecipare alla presentazione del libro “Resistere a Mafiopoli”, scritto a quattro mani da Giovanni Impastato e Franco Vassia. Promessa mantenuta dunque.
Introdotto e moderato dallo storico cronista de La Stampa, Francesco La Licata, il dibattito prende avvio proprio dallo strepitoso successo di Gomorra e dal significato racchiuso nella stessa vita blindata di Saviano: “Il merito del libro – dice lo scrittore napoletano -è l’aver raggiunto un pubblico di tali proporzioni. Quando qualcuno, leggendo un articolo, o guardando la tv, comincia a sentirsi parte di quel mondo, a comprendere che proprio lui ne è attore e protagonista in grado di deciderne e migliorarne le sorti, allora quello significa aver fatto centro”.
Saviano, quindi, passa ad analizzare quella che a suo dire rappresenta il peggior nemico di chi combatte le mafie: la delegittimazione. “E’ un meccanismo perverso – dice-. Se prima chi non voleva si parlasse di certi argomenti diceva che certe realtà non esistono, adesso cerca piuttosto di screditarti agli occhi del mondo dicendo che si esagera. Qualcuno arriva persino a dire che le vite come la mia siano una trovata pubblicitaria. Così ti ritrovi stretto, schiacciato tra due forze. Quella di chi ti protegge da un lato, e quella che tende a sminuire, a delegittimarti, a sputarti addosso”.

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Una situazione difficile da sostenere ma che l’autore di Gomorra, tra le altre cose nominato ieri sera cittadino onorario di Capaci, dice di affrontare “rifugiandosi in quel grande senso dell’onore” che gli deriva dal suo “essere figlio del Sud”. “Le mafie si sono appropriate di questo termine – continua Saviano – ne hanno saccheggiato il significato associandolo a concetti come il terrore, la paura. L’onore, quello vero, è quello che ti fa andare avanti a prescindere dalle conseguenze, solo in virtù di un fortissimo senso di giustizia”.

Prima di avviarsi alla conclusione il dibattito scivola lento su un significativo parallelo tra le figure di Peppino Impastato e don Peppe Diana, il parroco di Casal di Principe ucciso dalla camorra nel ’94, ed un commosso ricordo di Felicia Impastato. “State attenti – è il monito di Saviano – la diffamazione è qualcosa di estremamente pericoloso. E’ un’arma che allontana dai libri di storia i veri eroi del nostro tempo. Sia con Peppino che con don Peppe qualcuno ha cercato di distogliere l’attenzione della società con false accuse spazzate via da un film nel primo caso, e da un libro nel secondo. Ricordate che prima delle pallottole arriva l’isolamento, l’essere considerato un pazzo, un pagliaccio. Seguite l’esempio di Felicia Impastato che dopo la morte del figlio ha ripreso in se il figlio, come se le fosse tornato in grembo, e ha atteso quasi biologicamente che sulla verità di suo fosse fatta luce, per spegnersi dopo aver partorito giustizia”

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27 Agosto 2009, 10:02

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