09 Novembre 2010, 10:56
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(rp) Il compito degli scrittori è rendere evidente, con l’uso della memoria, quello che tutti sappiamo. Conosciamo tutti, per esempio, le civilissime persecuzioni che subirono in vita Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Sappiamo, conosciamo e dimentichiamo. Roberto Saviano ha ricostruito il puzzle con i frammenti propri. Il quadro unico è lampante. Becca con le mani nella marmellata tanti professionisti del cordoglio e della compassione postuma.
Nei giorni caldi che precedettero le stragi, il “Giornale di Sicilia” pubblicò la lettera di una residente in via Notarbartolo, nello stesso stabile del giudice Falcone. Una missiva polemica di lamentele e doglianze per il fastidio arrecato dalla scorta al quieto sonnellino pomeridiano dei condomini. Da quelle stesse colonne, Vincenzo Vitale scriveva editoriali di fuoco contro il maxi processo e i “giudici-sceriffi”. Corrado Carnevale rappresentava la quintessenza del magistrato equilibratissimo che attendeva al suo compito tra “brossure e codici”.
Abbiamo rivisto e risentito le accuse di Leoluca Orlando sui cassetti della Procura. Abbiamo ascoltato la polemica di Alfredo Galasso, esponente di una sinistra che non capì mai il trasferimento di Falcone a Roma. E adesso sappiamo che aveva ragione lui, Giovanni Falcone: “Per essere credibili, bisogna essere morti”.
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09 Novembre 2010, 10:56