Scacco alla cupola di Cosa nostra |Tutto sul padrino Ciccio Amantea

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17 Gennaio 2018, 05:55

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CATANIA – Tra i boss di un certo peso criminale condannati ieri pomeriggio nel processo Kronos spicca il nome di Francesco Amantea, padrino di Cosa nostra a Paternò. Un uomo di fiducia del reggente Francesco Santapaola, che aveva il ruolo – come documentano i Ros – di partecipare ai summit e di risolvere questioni importanti riguardanti la gestione degli affari illeciti della famiglia. Quattordici anni e sei mesi è la dura condanna inflitta dal Gup. 

Francesco Amantea, è genero di Domenico Assinnata e cognato di Salvatore Assinnata, questi ultimi ex “responsabili” della cosca nel territorio di Paternò. Già nel 1999 una sentenza della Corte d’Appello chiuse il cerchio su di lui accertando la sua affiliazione a Cosa nostra. Dall’inchiesta emerge un’intercettazione in cui lo stesso Amantea si compiace di fronte ai sodali del “prestigio” della cosca dei Santapaola. “Siamo cristiani grandi, cristiani che hanno fatto la storia, che hanno costruito”.

Gli inquirenti tratteggiano il profilo di un uomo propenso ad ostentare la sua mafiosità. “Chiddu, carusi, na presunzione… tipo ca si presenta Al Capone”, raccontano i due affiliati dei calatini a Palagonia e Ramacca Di Benedetto e Pappalardo commentando la figura di Amantea. Numerosi i summit a cui ha preso parte. A raccontare la sua investitura è l’ex reggente Santo La Causa. Amantea sarebbe stato il boss fidato dei Santapaola posizionato al vertice del clan catanese. La considerazione di cui godeva da parte dei sodali emerge nel corso di un delicato summit in cui era anche atteso il boss di Caltagirone Salvatore Seminara detto lo “ziu Turi”. Nel corso della riunione avvenuta il 14 aprile del 2016 nella masseria dei Galioto in maniera “inequivoca” viene fuori l’importanza del suo ruolo nell’organizzazione. Il giorno del summit i presenti fra cui, il boss di Lentini Pippo Floridia, i fratelli Antonino e Paolo Galioto, delegano Amantea di rabbonire il capo mafia Seminara a proposito delle accuse di appropriazione indebita di denaro mosse a quest’ultimo da una persona che ora il Seminara voleva incontrare.

Nel corso di una conversazione captata dagli inquirenti è addirittura il boss Floridia che dice agli altri: “e ora vediamo .. e poi Franco .. casomai se la sbriga Franco a parlare con lui”. Lo scopo era quello di allentare le tensioni fra la mafia calatina e quella catanese, quest’ultima sostenuta dal clan Nardo di Lentini. Onde evitare pericolosi equivoci in merito alla questione, i presenti quel giorno avevano preferito far parlare il paternese anche per mettere in chiaro con Seminara la questione del tentato omicidio avvenuto il 4 aprile del 2016 dei suoi picciotti Giovanni Pappalardo e Salvatore Di Benedetto colpevoli di non aver rispettato gli accordi sulla spartizione delle estorsioni. Ma è proprio ai calatini che Amantea è inviso. I due esponenti Pappalardo e Di Benedetto non digerivano le continue intromissioni del paternese nella vita della associazione santapaoliana nel territorio di Palagonia. Un’altra prova per la magistratura del ruolo svolto da Amantea all’interno della cupola.

A riguardo ci sono fiumi d’intercettazioni: “Dopo queste feste si devono sedere tutti pari pari pari pari, una volta per sempre si .. .si devono chiarire. Come quell’altro paternese che c’è là, un altro lestofante, quello … quel Franco, quello è un altro lestofante”. Qui i calatini si riferiscono alle estorsioni ai danni di un cementifico che si contendevano con il capo mafia di Lentini, Floridia. Questione a cui si lega il tentato omicidio dei due che sarebbe stato commissionato dalla cosca dei Nardo in accordo con Fiammetta. I problemi erano ancora una volta nati per la gestione dei proventi riscossi dalle attività di pizzo. Denaro non finito nelle mani giuste.

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17 Gennaio 2018, 05:55

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