16 Ottobre 2013, 06:20
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CATANIA – Nell’ottobre 2012 i finanzieri si presentano al Lido delle Palme, sul lungomare della Playa di Catania. Trovano 45 assegni circolari per oltre due milioni di euro. Due milioni e 190 mila euro, per la precisione. Soldi che Giuseppe Saffo e Francesco Cavallaro, due degli arrestati nel blitz sulla Formazione professionale, avrebbero intascato senza averne diritto.
Per questi episodi i due indagati sono accusati di peculato, ma ci sarebbe molto altro da accertare. La vicenda sposta l’attenzione su uno dei fronti investigativi più caldi del terremoto giudiziario che ha travolto quattro enti di formazione catanesi. Perché l’ipotesi su cui lavorano i pubblici ministeri è che il denaro sarebbe servito per pagare i registi occulti dell’affaire formazione. Gli inquirenti lo sussurrano appena, ma puntano a fare saltare il banco delle connivenze con la politica.
Gli assegni sono stati emessi da due filiali catanesi di Unicredit e Banca di credito cooperativo dove erano confluite le provviste riservate dalla Regione per i corsi professionali di Anfe, Iraps e Anfes. Un esempio fotografa cosa è avvenuto successivamente. Il 22 maggio 2007, Filippa Colombino, mamma di Francesco Cavallaro, anche lei indagata, legale rappresentante dell’Iraps dispone in favore di Saffo un assegno circolare da 40 mila euro. Lo stesso giorno Saffo versa l’assegno su un conto corrente intestato a Francesco Cavallaro e alla moglie Manuela Vittoria Nociforo. Un’operazione che sarebbe stata ripetuta decine di altre volte. Cambiavano solo i conti correnti. A volte erano quelli di Saffo e della moglie Concetta Cavallaro. Dalle indagini sarebbe emerso che gli assegni circolari non erano legati al pagamento di alcuna fattura. Né potevano essere rimborsi delle spese di missione dei due indagati: poche migliaia di euro all’anno per spostarsi a Palermo dove ha sede l’assessorato regionale.
Cavallaro e Saffo avrebbero pure cercato di giustificare i prelievi di denaro. Solo che i finanzieri parlano di “articolate registrazioni contabili che, alla luce della documentazione bancaria acquisita, non solo hanno dimostrato la loro artificiosità ma hanno anche confermato che il Saffo era solo in apparenza creditore dell’ente di formazione. In alcuni casi hanno certificato l’utilizzo di fatture false evidenziandone la simulazione dei pagamenti con la palese restituzione delle somme”.
Che necessità c’era di movimentare tutto questo denaro in contanti? Perché rischiare che i prelievi saltassero all’occhio visto che da anni il sistema si reggeva, e con successo, sulle “più sicure” fatture false o gonfiate? L’ipotesi investigativa è che forse c’era la necessità di non rendere tracciabili le operazioni e identificabili i reali destinatari del denaro. Politici e burocrati? In mezzo alle certezze investigative finora raccolte, almeno così le definiscono gli inquirenti, e le tante faccende ancora da sviluppare ci sarebbe anche l’ipotesi che il sistema avrebbe goduto di protezioni ad alto livello. E che parte del denaro potrebbe essere finito all’estero. Solo ipotesi. Al momento nulla di più. Ma c’è chi continua a sussurrare che Saffo e Cavallaro non possono avere fatto tutto da solo. Non possono avere sfidato i controlli con operazioni “grossolanamente falsificate”. E se avessero agito con la certezza di passarla liscia?
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16 Ottobre 2013, 06:20