08 Luglio 2016, 20:13
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PALERMO – Stanno tutti zitti. Persino i produttori industriali di indignazione. Gli imprenditori del comunicato stampa di protesta. Gli specialisti del j’accuse. Tacciono tutti, a destra e sinistra. Nonostante quella nomina, per molti aspetti, sia un vero e proprio scandalo politico.
Il capo della burocrazia regionale non è un dipendente della Regione, è stata condannata per un danno alle casse pubbliche per 1,3 milioni di euro, è indagata, con tanto di richiesta di rinvio a giudizio avanzata dai magistrati della Procura di Palermo, per un mega-peculato da 11 milioni di euro. Eppure, nessuno ha fiatato di fronte alla scelta di Crocetta di rinnovare l’incarico (ben retribuito) di Patrizia Monterosso.
Un silenzio pieno di ombre. E di compiacenze, probabilmente. Rotto soltanto dal Movimento cinque stelle e dal deputato del Partito dei siciliani Giovanni Greco. Uniche voci che non possono nemmeno definirsi “fuori dal coro”. Perché il coro è sparito.
Eppure una volta quel gruppo di cantori dello sdegno era assai numeroso e popolato. I moralizzatori per mestiere tanti, e assai attivi. Di Crocetta abbiamo già detto più volte. La sua moralizzazione si è rivelata un bluff, una finzione scenica. Inconsistente, insomma, ma allo stesso tempo utilissima a sostenere la sua attività di (non) governo. Una morale a convenienza, inflessibile contro i nemici e accomodante con gli amici. Per cui, la scelta del governatore “antimafia” di confermare la scelta compiuta dal suo predecessore condannato già in primo grado per mafia (Raffale Lombardo) ormai non sorprende più. La scenografia del governo della legalità è miseramente crollata sul palco e svela ormai i soliti retroscena della vecchia politica.
Ma gli altri? Che fine hanno fatto i castigatori dei cattivi costumi siciliani? Gli stessi alfieri della moralizzazione che Crocetta ha sparso tra le pieghe del sottogoverno, ad esempio? Che ne pensa Antonio Ingroia di quella nomina? E il castigatore dei “morosi” Antonio FIumefreddo che ha puntato il dito contro i “pirati” di Sala d’Ercole con qualche tassa non pagata? Che fine ha fatto il senatore Beppe Lumia, che sul concetto di legalità ha intessuto le trame di una retorica riproposta in loop (“Legalità e sviluppo, legalità e sviluppo”, fino allo sfinimento). Ha a che vedere con la legalità una condanna per aver sperperato – questo il senso della sentenza della Corte dei conti – i soldi dei siciliani? Perché a volte questi silenzi suggeriscono il dubbio che tutto ciò che non sia mafia possa passare in cavalleria ed essere superato con un buffetto e una alzata di spalle. Senza contare, a dire il vero, che lo stesso Lumia fu uno dei maggiori sostenitori di un presidente indagato già allora per mafia: Lombardo appunto.
Accanto a lui, in quei giorni, Antonello Cracolici. Lo stesso che sparò a lungo a zero contro Crocetta e il suo “circo Barnum”, prima di entrare in giunta. E anche in questo caso ci si chiede a cosa si debba il silenzio suo o più in generale del Partito democratico sul “caso-Monterosso”. La risposta semplice potrebbe essere trovata in quel garantismo che fece infuriare un pezzo del Pd in seguito alle dichiarazioni “sprezzanti” di Crocetta nei confronti dei deputati regionali coinvolti nella vicenda delle “spese pazze”. Roba da multa per eccesso di velocità, di fronte al caso degli extrabudget. E lo stesso Pd, il partito, ha scelto la strada del silenzio. Lo stesso partito che stilava liste di impresentabili e incandidabili – spesso incensurati – a ogni tornata elettorale. Che innescava – per bocca di Rosario Crocetta – in occasione della direzione nazionale del partite, polemiche persino sulla candidatura di Caterina Chinnici – mai sfiorata nemmeno dai dubbi sulla gestione della ‘cosa pubblica’ – alle elezioni Europee a causa del suo passato con Lombardo. Ma sulla nomina del capo dei dirigenti condannata dalla Corte dei conti e indagata per peculato, nessuna voce.
Un caso, quello della gestione della Formazione siciliana negli ultimi anni, che invece offre un suggerimento assai più indicativo sul silenzio più sorprendente: quello dell’opposizione. Esclusi appunto grillini e Greco, nessuno, da Forza Italia alla Lista Musumeci, passando per tutte le altre sfumature di centrodestra, ha aperto bocca. Perché a guardar bene, tra i co-condannati, ecco saltare fuori anche ex assessori con una esperienza proprio nei partiti di quell’area politica: Santi Formica, Carmelo Incardona e Luigi Gentile. Con loro, infatti, Patrizia Monterosso svolgeva – sempre da esterna, ovviamente, quindi con un incarico di carattere fiduciario – l’incarico di dirigente generale del dipartimento Formazione. Una sintonia che in qualche caso sembra non essersi esaurita, nonostante i cambi di governi e governatori. Non a caso, una mozione di sfiducia nei confronti della burocrate è stata respinta da deputati di ogni schieramento, alcuni dei quali si erano a lungo impegnati per ritardare l’approdo a Sala d’Ercole dell’atto proposto da grillini e pochi altri. E così, tutti zitti. Garantisti e forcaioli. Comunisti e berlusconiani. Tutti zitti, di fronte allo scandalo Monterosso. Un silenzio che racconta quindici anni di Regione.
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08 Luglio 2016, 20:13