28 Ottobre 2020, 19:34
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CALTANISSETTA – Molti capi di imputazione hanno retto al vaglio del tribunale, altri no. Era quasi inevitabile di fronte alla mole di contestazioni. I capi di imputazione erano 73. Ecco perché le condanne sono pesanti, ma meno di quanto avesse invocato la Procura della Repubblica di Caltanissetta. Il perché emerge dalla lettura del dispositivo del collegio presieduto da Andrea Catalano.
È caduta, per prima cosa, l’ipotesi di associazione a delinquere. Reggono una sfilza di ipotesi di corruzione, falso e abuso d’ufficio ma viene meno l’ipotesi che ci fosse una regia comune, che Silvana Saguto si fosse organizzata per commettere i delitti. Delitti che però resistono singolarmente, per una fetta consistente, al vaglio dei giudici. La prova si ha, non soltanto nelle pene comunque pesanti inflitte agli imputati, ma anche nei pesantissimi risarcimenti che dovranno pagare nei confronti delle parti civili, dalla presidenza del Consiglio dei Ministri agli imprenditori ai quali erano state sequestrate le aziende.
La procura di Caltanissetta non commenta la sentenza, lo fanno i legali dei principali imputati. Giuseppe Riina per Saguto, Antonio Sottosanti per Lorenzo Caramma e Sergio Monaco per Gaetano Cappellano Seminara, i quali sottolineano il ridimensionamento della ipotesi accusatoria della procura, che lascerebbe loro, ampi margini in sede di appello.
Il processo di primo grado è chiuso, ma non l’intera vicenda e non solo per il ricorso in appello. il tribunale infatti ha chiesto la trasmissione alla Procura dei verbali di udienza di una serie di testimoni. È forte il sospetto che abbiano dichiarato il falso.
Alla lettura del dispositivo erano presenti il procuratore aggiunto Gabriele Paci, e i sostituti Maurizio Bonaccorso e Claudia Pasciuti. Ci sono infine tre assoluzioni. riguardano Vittorio saguto il padre del magistrato nel frattempo radiato, l’avvocato è amministratore giudiziario Aulo Gigante e il giudice Lorenzo Chiaramonte, difesi rispettivamente dagli avvocati Antonio Sottosanti, Enrico Tignini e Fabio Lanfranca. Non ha retto, nel caso di Gigante l’ipotesi di concussione, inizialmente contestata in corruzione, per avere subito le pressioni di Saguto affinché assumesse una persona da lei indicata. Nel caso di Chiaramonte, magistrato che faceva parte del collegio delle misure di prevenzione di Palermo, l’ipotesi venuta meno e che avesse favorito un amico facendolo nominare amministratore giudiziario.
“La sentenza ricostruisce la verità delle cose per un magistrato serio e onesto che si è trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato”, dichiara l’avvocato Lanfranca.
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28 Ottobre 2020, 19:34