“Scarantino era nervoso e geloso” | I testimoni raccontano il pentito

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15 Aprile 2019, 18:50

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Vincenzo Scarantino venne trattato come un “normale collaboratore di giustizia”. E’ quanto emerge dalle deposizioni degli agenti di polizia Maurizio Toso, Carmelo Garofalo, Giulio Cardona e Giuseppe De Stefano, ascoltati questa mattina dal Tribunale di Caltanissetta nel processo per il depistaggio sulle indagini successive alla strage di via D’Amelio. I poliziotti, parlando della “gestione di Scarantino”, nel periodo in cui si trovava a San Bartolomeo a Mare, in provincia di Imperia, hanno specificato di non avere avuto rapporti diretti con lui, ma solo i normali contatti che si hanno con i detenuti. Nel processo sono imputati, con l’accusa di calunnia aggravata dal fatto di avere favorito Cosa nostra, i poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo.

I racconti

“Vincenzo Scarantino spesso era nervoso, insofferente. Viveva con le serrande chiuse perché era molto geloso della moglie”. E’ quanto ha riferito oggi in aula, Francesca Peppicelli, ex funzionario della questura di Imperia e attuale vicequestore di Terni. Peppicelli, rispondendo alle domande del procuratore aggiunto Gabriele Paci, ha detto che il personale della sicurezza addetto alla protezione di Scarantino, aveva avuto difficoltà ad esercitare il servizio di vigilanza sul collaboratore di giustizia perché chiedeva agli agenti che stessero lontani dalle finestre proprio per la gelosia nei confronti della moglie. Ha poi affermato che Scaratino disponeva all’interno dell’abitazione di un telefono. A proposito del personale che svolgeva la vigilanza, la teste ha affermato di non ricordare se ci fossero disposizioni scritte. “Ricordo – ha detto – che la gestione di tutto l’evento doveva essere fatta con molta cautela, questo sì. Era un momento in cui si facevano indagini importanti. Quello che ricordo perfettamente è che la gestione della persona doveva essere oculata per evitare qualsiasi cosa che potesse portare a una reticenza nelle dichiarazioni”.

La Peppicelli ha anche riferito di aver visto delle carte all’interno della casa in cui viveva il collaboratore di giustizia. “C’era un tavolinetto entrando, dove stava anche il telefono. Ho un’immagine. Fogli di carta, forse sì ma non ho contezza di cosa fossero”. Ha aggiunto che “c’erano due persone, un uomo e una donna che portavano la spesa”. In questura le dissero che si trattava di colleghi ma che non appartenevano alla questura di Imperia. Ha anche sottolineato di non aver mai appreso notizie riguardanti una colluttazione verificatasi alla presenza della moglie e dei figli di Scarantino.

“Dovevamo accompagnare Scarantino a Genova per un interrogatorio. A un certo punto disse che voleva tornare indietro perché un nostro collega non ci stava seguendo ed era rimasto a casa con la moglie”. Lo ha detto Salvatore Coltraro, dirigente della Squadra Mobile di Imperia dal ’91 al ’95. Il funzionario ha rivelato i particolari di una vera e propria scenata di gelosia da parte del falso collaboratore di giustizia. “Appena aprimmo la porta – ha raccontato il teste – Scarantino si lanciò contro il poliziotto che gli diede uno schiaffo e disse ai due colleghi di mettergli le manette. Vedendo il padre con le manette, moglie e figli cominciarono a piangere. Era il dottore Bo. Era la prima volta che lo vedevo, era un funzionario giovane. A questo collega dissi come si era permesso di dare uno schiaffo a Scarantino. Lui mi rispose che stava parlando con la moglie e non stava facendo nulla di male. Io gli dissi ‘ma ti rendi conto che stavi mandando a monte l’interrogatorio a Genova?’. Scarantino poi salì in macchina ma non era più ammanettato”. A Coltraro è stato chiesto dall’avvocato di parte civile Giuseppe Dacquì perché non fu redatto alcun verbale di quell’episodio. “L’ammanettamento durò pochi secondi – ha risposto – ed era finalizzato ad immobilizzarlo per evitare che si scagliasse nuovamente contro i poliziotti”.

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15 Aprile 2019, 18:50

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