14 Agosto 2016, 12:50
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CATANIA -Non si ferma la tratta delle schiave che parte dalla Nigeria in direzione Sicilia. Ieri la Squadra Mobile di Catania, su delega della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Catania, con la collaborazione della Squadra Mobile di Ascoli Piceno, ha dato esecuzione a decreto di fermo di indiziato di delitto nei confronti di due donne accusate di induzione alla prostituzione. In manette sono finite Sonia Ada, 30 anni (tratta in arresto a Monsampolo del Tronto, AP) e EDOKPAYI Charity Adesuwa Edokpayi, 21 anni (tratta in arresto a Comunanza, AP); indagate per il reato associazione per delinquere finalizzata alla commissione di più delitti di tratta di persone in danno di connazionali di minore età, e del delitto di tratta di esseri umani, con l’aggravante della transnazionalità, per aver reclutato, introdotto, trasportato ed ospitato nel territorio dello Stato connazionali minorenni al fine di costringerle o indurle ad esercitare la prostituzione.
Il provvedimento restrittivo accoglie gli esiti di un’articolata attività investigativa di tipo tecnico coordinata dalla locale Direzione Distrettuale Antimafia di Catania ed avviata dalla Squadra Mobile a febbraio a seguito di una segnalazione degli operatori O.I.M. presenti allo sbarco avvenuto ad Augusta (SR): una minorenne nigeriana Celestina – nome di fantasia.- poteva essere una vittima di tratta. Trasferita in una struttura su disposizione della Procura dei Minorenni, dopo un po’ di tempo ha raccontato il suo incubo. Sarebbe partita dalla Nigeria alla volta dell’Europa – ove riteneva avrebbe svolto l’attività di parrucchiera – dopo avere contratto un debito di circa 30.000 (trentamila) euro con una madame che viveva in Italia. Questa donna l’avrebbe fatta sottoporre dalle sodali in Nigeria al rito magico denominato “JuJu”, in forza del quale in caso di inadempimento del debito contratto, la sua famiglia sarebbe stata colpita da disgrazie di ogni genere. Celestina era giunta dalla Nigeria in Libia e infine era approdata sulle coste siciliane a seguito di viaggio via mare a bordo di un gommone, soccorso in alto mare. Insieme a Celestina, salvata sul medesimo gommone, era giunta ad Augusta (SR) un’altra cittadina nigeriana di minore età, Felicia – nome di fantasia- anch’essa vittima della medesima organizzazione. L’organizzazione criminale sarebbe diretta da Sonia Ada, chiamata “MadameSonia”, che sarebbe riuscita a prelevare Felicia dalla comunità di Noto (SR), affidandola alla sorella Charity Adesuwa in provincia di Ascoli Piceno laddove la giovane vittima veniva costretta ad esercitare il meretricio su strada per saldare il cosiddetto “ingaggio per debito”.
LA RICOSTRUZIONE DEGLI INQUIRENTI. Le indagini tecniche hanno consentito di riscontrare come l’organizzazione diretta e promossa da Sonia, con base operativa in provincia di Ascoli Piceno, coadiuvata da Charity Adesuwa, curava i rapporti con i sodali in Nigeria e in Libia, seguendo il tragitto delle vittime attraverso l’Africa sino alle coste libiche e provvedendo alle erogazioni di danaro necessarie ad accelerarne l’imbarco verso l’Italia. All’arrivo in Italia le vittime venivano agevolmente localizzate dall’organizzazione per essere “prelevate”, come ha dimostrato il caso di Felicia, dai luoghi ove risultavano collocate dalle Autorità italiane e condotte presso le loro sfruttatrici che le costringevano all’attività del meretricio che avrebbero dovuto svolgere e i cui proventi avrebbero dovuto integralmente consegnare ai propri aguzzini per adempiere gli obblighi assunti con il rito “JuJu”. Particolare menzione meritano anche le acquisizioni relative alla condotta dei familiari delle giovani vittime di tratta: le sorelle che riuscivano a mantenere tramite i sodali in Nigeria rapporti costanti con i familiari delle ragazze, avevano cura di avvisarli e minacciarli ogni qual volta le giovani opponessero resistenze o non si impegnassero nel meretricio ovvero ancora si dessero alla fuga: in tal guisa si assicuravano una pressione costante sulle vittime che venivano esortate dagli stessi parenti ad obbedire ai propri sfruttatori e ad uniformarsi ai loro ordini, temendo la maledizione del “JuJu” cui la vittima era stata a suo tempo sottoposta ovvero temendo essi stessi di esser sottoposti a “JuJu” in sostituzione della parente inadempiente. Il Gip del Tribunale di Ascoli Piceno, a cui sono stati trasmessi gli atti per la convalida del fermo con richiesta di custodia cautelare per le due donne, ha disposto la misura cautelare del carcere, accogliendo le risultanze evidenziatesi nell’attività di indagine.
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14 Agosto 2016, 12:50