25 Novembre 2019, 17:56
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PALERMO – Tutti condannati. Ergastolo a presunti killer e mandanti dell’omicidio di Mirko Sciacchitano. Ventidue anni e mezzo per Giuseppe Greco, considerato il reggente del mandamento di Santa Maria di Gesù. Il collegio presieduto da Alfredo Montalto accolgono le richieste del procuratore aggiunto Sergio Demontis. Le urla dei parenti degli imputati hanno accolto la lettura del verdetto nell’aula bunker del carcere Ucciardone.
Sotto processo in Corte di assise, a Palermo, c’erano sette persone. Salvatore Profeta (è deceduto) e Natale Gambino sarebbero stati gli ideatori e i mandanti del delitto, voluto per punire il precedente tentato omicidio di Luigi Cona. Gli esecutori materiali sarebbero stati Francesco e Gabriele Pedalino, Domenico Ilardi (per il quale la Cassazione aveva annullato il l’ordinanza di custodia cautelare in carcere ed è stato arrestato in aula dopo la lettura del verdetto) e Antonino Profeta (figlio di Salvatore). Lorenzo Scarantino, invece, avrebbe fatto i sopralluoghi alla ricerca della vittima e sarebbe stato lui a comunicare ai due presunti mandanti la buona riuscita della missione di morte.
L’omicidio di Sciacchitano, avvenuto nell’ottobre del 2015, in via Falsomiele, sarebbe stata la brutale reazione degli uomini di Gambino e Profeta, così è stato ricostruito dalla Procura, al ferimento di Luigi Cona da parte di Francesco Urso. Non se la presero con Urso, figlio di un boss che conta, e uccisero il giovane Sciacchitano che ebbe la colpa di avere accompagno con lo scooter Urso nelle fasi del ferimento di Cona.
LE FOTO DEL POMERIGGIO DI MORTE
Sono state le microspie a svelare le drammatiche fasi del delitto. Davanti alla macelleria di Gambino, in via Campisi, le cimici registrano una conversazione decisiva per le indagini. È il 24 febbraio 2015 e Gambino racconta a Profeta di avere raccolto lo sfogo di Cosimo Vernengo (“poco fa ho visto Cosimo”), amareggiato per il comportamento di Urso (“l’ho salutato… Cosimo… è… dice sono mortificato”).
Il nipote ha mancato di rispetto all’anziano uomo d’onore (“… dice Cosimo è mortificato… dice con questo discorso che è successo a Totò”). Gambino lo rassicura. La colpa è solo del giovane nipote (“gli ho detto Cosimo… che che ti devo dire io… tuo nipote purtroppo… ha fatto di testa sua”) che ha criticato pubblicamente lo zio (“io so pure che mi ha sparlato a me là… a Falsomiele”). Profeta sottolinea il grave errore del figlio di Urso (“stavolta ha preso una cantoniera di petto… glielo hai detto), ed è l’ultima volta che gli veniva perdonato (“gli ho detto questa è la volta buona che qua non ci viene più e se ne va a lavorare… si vada a guadagnare il pane altrove”).
Occorre fare un passo indietro, fino al giorno del delitto. Venti minuti dopo le 16 del 3 ottobre 2014 due uomini a bordo di uno scooter Sh 300 di colore bianco arrivano al civico 4 di via dell’Allodola. Hanno il volto coperto dai caschi integrali. Uno dei due fa fuoco contro Luigi Cona, titolare della rosticceria “al Bocconcino”. Lo colpiscono alle gambe. I carabinieri lo interrogano all’ospedale Civico. Cona racconta di essere rimasto vittima di una tentata rapina. Hanno fatto fuoco dopo il suo rifiuto di consegnargli i soldi. Inutile cercare altre testimonianze: nessuno ha visto né sentito qualcosa.
A fare fuoco contro Cona sarebbe stato Francesco Urso, già condannato, mentre alla guida dello scooter con cui Urso entrò in azione c’era Mirko Sciacchitano. Alle 19:40 dello stesso giorno scatta la ritorsione. Tre uomini incappucciati giungono a bordo di una Panda di colore rosso in via della Conciliazione, all’angolo con via della Concordia. Sciacchitano si trova davanti a un’agenzia di scommesse. Tenta di scappare assieme ad un amico diciassettenne che ha la sfortuna di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. La fuga dura poche centinaia di metri. Mirko viene raggiunto da una pioggia di fuoco. L’amico se la caverà nonostante un proiettile gli si è conficcato nella pancia.
Il primo episodio che fa collegare l’omicidio tentato con quello eseguito avviene alle 16:29, quando un giovane a bordo dello scooter di Cona, che è stato appena ferito alle gambe, raggiunge Antonino Profeta davanti a una friggitoria. Nel giro di pochi minuti sul posto giungono a bordo di un’Audi Q3 e di una Smart Domenico Ilardi e i due Pedalino. Poco dopo tocca a Salvatore Profeta e Natale Gambino. Quindi Gambino si sposta e raggiunge Giuseppe Greco nella macelleria Carni Doc di via Albiri. Alle 18 .41 le cimici captano una conversazione decisiva. “… tu scinni e ci spari… tu rincapu… prima i cuosci… prima viennu i cuosci…”, dicono Profeta e Gambino. “Lo so…”, risponde Francesco Pedalino.
L’audio è molto disturbato. Gli interlocutori parlano fuori dalla macchina. Si tratta della Polo di Antonino Tinnirello, finita sotto intercettazione. Alle 19.06, nelle vicinanze della friggitoria viene notato il transito di una Panda di colore rosso. A bordo vi sono Ilardi, Antonino Profeta e Lorenzo Scarantino. Poco dopo negli audio finiscono di nuovo le parole di Gambino che dà indicazioni sulla strada da percorrere: “… ce ne scendiamo dalla via Oreto e prendiamo la strada di via Fichidindia… cammina piano nelle corsie Nino… che di là ci spuntano macchine cose… motori”.
Alle 19:42 le microspie installate a bordo della Polo captano uno, due, tre, una raffica di rumori sordi. Sono i colpi di pistola sparati per uccidere Sciacchitano, dicono ex post gli investigatori. La macchina viene localizzata in via Oreto nei pressi dell’incrocio con via dell’Orsa minore, ad un centinaio di metri dal luogo del delitto. Fuori sparano, dentro la macchina regna il silenzio. Poi mettono in moto e vanno via. E Profeta inizia a cantare la canzone “Volare”.
La notizia della morte di Sciacchitano si è sparsa. Urso teme per la sua vita e si rifugia dalla nonna. Ha già un’idea chiara di cosa sia avvenuto: “… sono quattro crastazzi nonna… non è che una cosa che chi è stato è andato a toccare a lui…non… perché qual è… cioè io questo è quello che dico, capito?… è solo che loro hanno, hanno tanta quella voglia di ammazzare a qualcuno, di farsi sentire…dice, ora l’hanno capito tutti che… che devono sentire tutti a noialtri e non devono sbagliare più. Ma c’è bisogno di ammazzare…”. Qualche giorno dopo deciderà di partire per Civitavecchia.
Intanto a un altro parente fa capire di sapere chi ha ucciso Sciacchitano: “… hanno fatto una cosa… si sono messi l’acqua dentro con questo omicidio che hanno fatto, hanno finito di cucinare… fatalità va a combaciare che mi cercano pure a me… ci sarà qualche intercettazione, praticamente dall’intercettazione, dobbiamo ammazzare pure a lui per dire a quel cornutazzo, parlando di me… qua prendono l’ergastolo facile”.
Urso è rammaricato. Sciacchitano non doveva morire: “Dovete ammazzare a me, cioè non c’entra niente che dovete ammazzare a quel picciotto… che c’entra che se la prendono con quello… ma quello è stato pure un ragazzo ingenuo… perché a lui non ce lo porta nessuno pure, te lo giuro vero. Lui la situazione…lui neanche doveva venire, non ce lo porta nessuno… dice, andiamo vengo io, vengo io e mi sono fatto convincere diciamo così, perché è un bravo ragazzo, bravo, bravo, onesto e bravo”.
Il 2 novembre i carabinieri del Ros e del Nucleo investigativo registrano quella che definiscono la chiusura del cerchio investigativo. Luigi Cona, ancora claudicante e con una stampella per via del ferimento, incontra Profeta, Scarantino e Francesco Pedalino. “U Bocconcino… ti ha portato lo champagne”, dice Pedalino. Devono festeggiare. Poi il blitz, coordinato dai pm Sergio Demontis, Francesca Mazzocco e Gaspare Spedale. Oggi la condanna.
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