23 Luglio 2013, 20:18
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PALERMO – Lucia Borsellino è vicina a lui. Con i soliti toni pacati ha appena finito di illustrare lo spreco della gestione del 118 in Sicilia. Una storia né nuova, né ignota. Ma alla fine, la conferenza stampa, e soprattutto la presenza dell’assessore alla Salute torna buona al presidente Crocetta per rispondere a chi l’accusa di appartenere alla categoria dei “professionisti dell’antimafia 2.0”. A cominciare proprio da Davide Faraone, suo compagno nel Pd. “Le vere vittime della mafia lavorano con me”, dice a margine di quella conferenza. Una risposta che divarica, più che chiudere, il varco per nuove polemiche.
Professionisti dell’antimafia. Il caso unico di un’etichetta storicamente attribuita a chi non la usò mai. “Leonardo Sciascia – dice Crocetta – si riferiva a chi fa l’antimafia con le parole e non con i fatti. Non credo che questo appellativo possa mai essere riferito proprio a me che mi sono più volte esposto contro i boss, rischiando anche la vita”.
Sciascia non usò mai, nel famoso articolo quella formula. Ci pensò il titolista del Corriere della Sera, dove apparve il pezzo oltre 26 anni fa. Ma fa più specie ricordare quali furono, allora, gli “esempi attuali ed effettuali”, scriveva lo scrittore agrigentino, di quella categoria: Leoluca Orlando da un lato. E proprio Paolo Borsellino, dall’altro. Al di là delle interpretazioni coeve e postume di quel riferimento (un errore dello scrittore, un riferimento al Csm e non al giudice, una sacrosanta verità). La figlia di Paolo Borsellino è lì, mentre Crocetta risponde a chi ha rispolverato la frase, condita da un riferimento alla modernità. E il presidente guarda verso di lei quando scandisce: “I parenti delle vere vittime della mafia lavorano con me. E’ vergognoso – ha tuonato il presidente – parlare di professionisti dell’antimafia. Sono disgustato di questi attacchi, questi sì sono atti mafiosi”.
E sembra proprio di rilleggere quell’articolo, oggi. “Prendiamo, per esempio, – scriveva Sciascia – un sindaco che per sentimento o per calcolo cominci ad esibirsi – in interviste televisive e scolastiche, in convegni, conferenze e cortei – come antimafioso: anche se dedicherà tutto il suo tempo a queste esibizioni e non ne troverà mai per occuparsi dei problemi del paese o della città che amministra (che sono tanti, in ogni paese, in ogni città: dall’acqua che manca all’immondizia che abbonda), si può considerare come in una botte di ferro. Magari qualcuno molto timidamente, oserà rimproverargli lo scarso impegno amministrativo; e dal di fuori. Ma dal di dentro, nel consiglio comunale e nel suo partito, – si continua a leggere – chi mai oserà promuovere un voto di sfiducia, un’azione che lo metta in minoranza e ne provochi la sostituzione? Può darsi che, alla fine, qualcuno ci sia: ma correndo il rischio di essere marchiato come mafioso, e con lui tutti quelli che lo seguiranno”.
Cambia il ruolo, del “professionista” in questione – almeno guardando con gli occhi di chi ha attaccato il governatore – ma resta il nodo. Sollevato qualche giorno fa da Faraone. E rispedito al mittente oggi da Crocetta, nel modo più scontato. Sullo sfondo, la presenza di Lucia Borsellino: “Gli attacchi nei miei confronti? Questi sì che sono atti mafiosi”. Appunto.
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23 Luglio 2013, 20:18