20 Novembre 2019, 20:18
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E ora a una profezia potrebbe sostituirsene un’altra. Il trentennale della morte di Leonardo Sciascia lascia sul campo, ancora viva, la polemica logora e allo stesso tempo ancora bruciante sui professionisti dell’antimafia. Ma nel frattempo, ecco che fa capolino un’altra questione, nell’Italia sempre un po’ più a destra. E del resto, il tema del fascismo italico, dell’eterna seduzione del fascismo, non è secondario e nemmeno così distante dalla polemica sull’Antimafia di facciata: del più famoso degli articoli sciasciani, il saggio di Duggan sul Ventennio in Sicilia era stato il motore.
Il fascismo può tornare?
E così, a trent’anni dalla sua morte e molti di più da alcuni sui scritti, Sciascia sembra rispondere a una domanda che rimbalza spesso tra i bar e i talk show. C’è davvero un rischio fascismo in Italia? Questo pericolo è concreto, attuale? E spesso a questi quesiti corrispondono reazioni pavloviane di scherno o di terrore. Il fascismo è un capitolo chiuso della storia, dice qualcuno. Il fascismo può tornare, avverte qualcun altro.
Sciascia a questo dilemma aveva risposto decine di anni fa. E come al solito lo aveva fatto con una profondità sempre più vintage in questa società della superficie e del manicheismo social. Il fascismo può tornare? Nel 1979 rispondeva così alla giornalista Marcelle Padovani: “Ancora oggi credo che una buona parte degli italiani (di destra, di sinistra, di centro) vivrebbe nel fascismo come dentro la propria pelle. Magari dentro un fascismo meno coreografico, con meno riti, meno parole: ma fascismo. Un regime che non dia la preoccupazione di pensare, di valutare, di scegliere”. Ecco la prima illuminazione: non “il” fascismo è sempre possibile. Ma “un” fascismo.
Sciascia e il fascismo
Nella vicenda intellettuale di Sciascia, del resto, il fascismo è episodio ed esempio. Monito e suggestione, è, in un certo senso, l’origine di tutto. Nella casa di Racalmuto dello scrittore, annota ad esempio Matteo Collura, il Duce non era certamente amato, ed era soprannominato, a bassa voce, “mussu di porcu” (muso di porco). È l’antifascismo una delle sorgenti dell’Opera sciasciana, insomma. Sciascia spiegherà infatti di aver trascorso i primi vent’anni della sua vita “dentro una società doppiamente non giusta, doppiamente non libera, doppiamente non razionale. Una società- non società, in effetti. La Sicilia, la Sicilia di cui Pirandello ha dato la più vera e profonda rappresentazione. E il fascismo. E sia al modo di essere siciliano sia al fascismo ho tentato di reagire cercando dentro di me (e fuori di me soltanto nei libri) il modo e i mezzi. In solitudine. E dunque, in definitiva, nevroticamente”.
Il fascismo, Mori, la Sicilia
Ma l’incrocio pericoloso tra i professionisti dell’antimafia e il tema del fascismo si trova proprio sulle strade di Sicilia. È nel racconto della repressione del prefetto Cesare Mori, ad esempio, che si incontra un esempio potente di quella che oggi definiremmo l’arte del “mascariamento”. Lo stesso Mori, in uno dei suoi libri su quel periodo, ammetteva infatti: “La qualifica di mafioso […] venne spesso usata in perfetta malafede ed in ogni campo, compreso quello politico, come mezzo per compiere vendette, per sfogare rancori, per abbattere avversari”. Ma non solo. Il tema del fascismo si lega strettamente a quello della giustizia: un rapporto che ha trovato splendida rappresentazione in “Porte aperte”: “Furono i processi di allora, quasi tutti indiziari. Ma ricordando quel che se ne diceva, gli indizi andavano dritti come frecce al giusto bersaglio” ricorda Sciascia in “A futura memoria (se la memoria ha un futuro). E da lì, il tema di una giustizia giusta che prende le mosse dall’amatissima Colonna infame di Manzoni.
Fascismo, giustizia, libertà
In Sicilia, registra lo scrittore, negli anni del fascismo diventava motivo di consenso “persino” la lotta la mafia. Anche se spesso si sarebbe trattato di una “illusione”: la repressione fascista, secondo Sciascia, aveva solo “anestetizzato la mafia”. Comunque, molti siciliani in quegli anni, spiega l’intellettuale racalmutese, dal fascismo avevano ottenuto maggiore… libertà. È il paradosso di fronte al quale si “rompe il capo” il capitano Bellodi del Giorno della civetta: “…durava la collera, la sua collera di uomo del nord che investiva la Sicilia intera: questa regione che, sola in Italia, dalla dittatura fascista aveva avuto in effetti libertà, la libertà che è nella sicurezza della vita e dei beni. Quante altre libertà questa loro libertà era costata, i siciliani non sapevano e non volevano sapere: avevano visto sul banco degli imputati, nei grandi processi delle assise, tutti i don e gli zii, i potenti capi elettori e i commendatori della Corona, medici ed avvocati che si intrigavano alla malavita o la proteggevano; magistrati deboli o corrotti erano stati destituiti; funzionari compiacenti allontanati. Per il contadino, per il piccolo proprietario, per il pastore, per lo zolfataro, la dittatura parlava questo linguaggio di libertà. ‘E questa è forse la ragione per cui in Sicilia’ pensava il capitano ‘ci sono tanti fascisti […] è che nello stato in cui si trovavano una sola libertà gli bastava, e delle altre non sapevano che farsene’”.
Il fascismo e la democrazia
Ecco che si torna quindi al discorso iniziale. È possibile il ritorno di “un” fascismo? Ed è possibile che un fascismo possa convivere addirittura con una democrazia? La risposta era giunta già a proposito della Democrazia cristiana per la quale Sciascia aveva riservato, a tratti in modo sorprendente, lo stesso ragionamento fatto riguardo al fascismo: “L’idea di stato fa paura a molti italiani: e soprattutto uno stato democratico, che costringa alle scelte, che obblighi a riflettere, a porsi domande, a preoccuparsi delle conseguenza di questa o quella decisione politica. Di uno stato del genere, gli italiani non vogliono saperne”. E così, eccola la radice della seduzione, di una seduzione sempre possibile. Quella di uno Stato forte che semplifichi la lettura del mondo. Del resto, in A ciascuno il suo Sciascia fa spiegare a un suo personaggio: “In paese: quasi tutti fascisti, anche quelli che credevano di essere socialisti o comunisti”. Come dire, domanda: il fascismo può tornare? Risposta: attenti, “un” fascismo non è mai andato via.
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