06 Aprile 2024, 09:20
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PALERMO – Vincitrice a sua insaputa. O, quantomeno, non c’è prova che sia stata l’imputata a scommettere sulle piattaforme online con un saldo attivo di 60 mila euro in due anni.
Il giudice monocratico della quinta sezione del tribunale di Palermo, Patty Fiocco, ha assolto C.P., 35 anni, svelando una falla in tema di trasparenza nel sistema di registrazione.
La donna rispondeva di truffa aggravata ai danni dello Stato e di aver reso false dichiarazioni nascondendo le vincite che le avrebbero impedito di ricevere il reddito di cittadinanza. Il punto è che non è stato effettuato alcun accertamento per verificare le modalità di apertura del conto gioco e su come venivano effettuate le ricariche-prelievi, basandosi esclusivamente sul prospetto acquisito dall’Agenzia delle Dogane, in cui venivano riportate sinteticamente le vincite.
Dalle indagini difensive svolte dall’avvocato Enrico Bennici è innanzitutto emerso che la donna aveva prestato il suo documento di identità alla madre che frequentava un centro scommesse. Il documento era stato smarrito e lo smarrimento denunciato. In ogni caso la madre non aveva accumulato i 60 mila euro di vincite, scommettendo piccole somme.
Si è scoperto, inoltre, che i dati anagrafici e il documento di riconoscimento erano stati usati più volte per aprire numerosi profili sulle più conosciute piattaforme di gioco on line.
Alcuni testimoni in aula hanno confermato che al momento dell’apertura del conto gioco non veniva effettuato alcun accertamento sull’identità dell’utente. Bastava semplicemente inserire i dati anagrafici e inviare una fotocopia scannerizzata del documento. Chiunque poteva registrarsi con il nome di un’altra persona. Per non lasciare alcuna traccia si potevano stampare dei voucher cartacei e prelevare in contanti presso qualsiasi punto vendita, senza nessun controllo.
Da qui l’assoluzione con la formula per non aver commesso il fatto. La ragione è duplice: per certificare che l’imputata avesse superato il tetto massimo di 20.000 euro di vincite, al di là del quale si perdeva il diritto al reddito di cittadinanza, sarebbe stato necessario verificare anche i soldi persi. E soprattutto non c’è prova che a incassare i 60.000 euro sia stata davvero l’imputata.
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06 Aprile 2024, 09:20