24 Dicembre 2015, 12:29
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Scusa se ti dico Buon Natale: potrebbe suonare come un’offesa. Le strade che conducevano alla comune letizia sono ormai lastricate dai veleni e dalla diffidenza. Questo non è più il tempo degli auguri, dei doni scambiati, col cuore sgombro e la mente libera.
Quale augurio di pace può sopravvivere se barricate e divisioni sorgono continuamente all’ombra della stella cometa, trasformando i giorni dell’armonia nella fiera delle vanità belligeranti?
Sempre si aggiorna il catalogo del dissidio. Quelli che considerano Gesù Bambino un insulto alla laicità chiodata e vanno all’assalto dei gesubambinisti. Quelli che… attenti che il Califfo ci guarda, non pregate né cantate ad alta voce, ché altrimenti si nota e l’Isis invia i suoi tagliagole travestiti da bue e da asinello. Quelli che, invece, brandiscono asinello e bue, da crociati, alla stregua di armi improprie. Quelli che confermano l’odio per la gioia tramandata nei secoli, lambiccandosi su rinnovate dispute. “Te piace ‘o presepio?”, domandava invano Eduardo, quando ancora la festa di tutti non era un brulicare di polemisti nemici.
Perciò, con più vigore e maggiore disperazione, ti auguro Buon Natale, alla maniera del grande De Filippo, con la Natività e il resto delle cose incantate, di pessimo gusto, in prima fila. La notte tra il ventiquattro e il venticinque – appeso alla memoria è il dagherrotipo unico dell’infanzia – si deponeva il Santo Bambinello, canticchiando in processione: “Tu scendi dalle stelle”. E c’erano i Magi in cammino, la carta stagnola a raffigurare un cielo intimista, la fontanella all’ultimo grido che sputacchiava un filo di acqua corrente. Chissà in quante sacche di sensibilità familiare sopravvive la magia della vigilia che si scioglie in domestico giubilo, senza cedere al fascino delle contrapposte trincee. E tu l’hai già organizzato il presepe? Probabilmente no. Ti hanno insegnato – a forza di lavaggi del cervello – che le cose vecchie recano un sapore stantio.
“Te piace o’ presepio?” Perché, ora, accenni corna e scongiuri sui mirabili salmi di ‘Natale in casa Cupiello’? Forse perché non ti fidi del rigurgito di nostalgia che vorrebbe spingerti fuori dal bunker ordinato in cui hai riposto il catalogo degli arnesi utili per la sopravvivenza: il cinismo, soprattutto. Non vuoi correre il rischio di sognare i tuoi sogni da bambino, in edizione limitata, rivestiti di broccato e meraviglia.
La bellezza si declina, tragicamente, in debolezza. Nessuno può permettersi una boccata d’aria pura, nell’era del filo spinato delle idee, dei posti di blocco dei sentimenti, delle scaramucce di cartapesta, col sottofondo di un vero conflitto incombente. Questo non è più quel tempo in cui le persone incrociavano gli sguardi, intrecciando sorrisi, nei giorni della tenerezza. Ovunque si commemora uno spoglio Natale di guerre e guerricciole.
Eppure era tutto così facile, nel nostro Natale di pace, con i suoi riti: passeggiare tra le vetrine illuminate, assaporando gli addobbi rossi e l’animo sgombro di pesi; fare finta di volersi bene, perché, insistendo, si riusciva davvero a volersene; canticchiare “Tu scendi dalle stelle”, deponendo il Bambinello nella capannuccia al freddo e al gelo, tra neve e palme. Cose di pessimo, bellissimo gusto che hanno salvato una finissima traccia dell’età dell’oro.
Ma io ti dico lo stesso Buon Natale. Anche se questo non è più il tempo degli sguardi e delle parole scambiati in dono. Anche se quella che sta passando in cielo non è più la notte della stella cometa.
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24 Dicembre 2015, 12:29