12 Maggio 2014, 06:00
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PALERMO – “Crocetta vuole davvero cambiare le cose? E allora abbia il coraggio di mettere le mani, per la prima volta, sui privilegi presenti nella burocrazia regionale”. Non è una semplice opinione. Davide Faraone ricopre il ruolo di responsabile Welfare del governo Renzi. La sua idea, descritta attraverso una serie di interventi, insomma, è anche quella dell’esecutivo che vuole “cambiare verso” all’Italia. “Con alcune riforme, si possono risparmiare 50 milioni di euro l’anno. Se la Sicilia vuole dialogare con Roma, deve apparire credibile”.
E cosa dovrebbe fare, secondo lei, il governo Crocetta, per apparire credibile?
“Bisogna innanzitutto intervenire sulla pubblica amministrazione. Bisogna cambiare molte cose”.
Vale a dire?
“Serve una riforma massiccia, a vantaggio di tutti i dipendenti regionali, molti dei quali hanno qualità superiori alla media e che invece vengono penalizzati da logiche politiche o spartitorie. Ma dobbiamo anche smetterla di raccontarci bugie”.
A cosa si riferisce in particolare?
“I numeri parlano chiaro: la Sicilia ha 11 direttori generali più di quelli della Lombardia. I siciliani continuano a sostenere una spesa per il personale della Regione di quasi sei volte più grande della spesa che devono sostenere i lombardi: 941 milioni di euro la Sicilia contro i 174,3 milioni di euro della Lombardia. abbiamo otto volte il numero dei dirigenti della Lombardia (1.834 Sicilia, 218 Lombardia) e sei volte il numero di dipendenti del comparto (17.741 Sicilia, 2.924 Lombardia)”.
Insomma, lei ritiene che, in un momento in cui l’amministrazione cerca in ogni piega del bilancio margini per nuovi “tagli”, si dovrebbe guardare lì’, nelle spese per la burocrazia regionale?
“Guardi, solo per i dirigenti la Regione siciliana spende 136,2 milioni di euro contro i 35,9 milioni della Regione Lombardia mentre per il comparto si arriva alla cifra di 804,8 milioni di euro, la Lombardia ne spende 138,4. E continuo con i dati: i dirigenti a ogni siciliano costano 27 euro, ai lombardi 4 euro l’ anno. Non è di secondo piano il fatto che la Lombardia ha una popolazione doppia rispetto alla Sicilia ma riesce a fornire comunque servizi spesso più efficienti e puntuali sostenendo costi più bassi”.
E quindi? Lei come pensa si debba intervenire nei confronti di questa categoria?
“Si deve approntare un progetto complessivo di riforma che coinvolga tutti i rami della Regione e non soltanto quelli che sono considerati di serie B lasciando gli intoccabili, quelli di Serie A, gli oltre ventimila cosiddetti regionali, fra i privilegiati esenti da ogni e qualsiasi revisione. Va previsto un pacchetto di misure ispirato, come sta facendo il governo Renzi, su più merito, più mobilità, più qualità. Soprattutto, si deve porre mano ad una riforma complessiva della burocrazia e della dirigenza e delle diverse indennità elargite a dismisura con grande beneficenza in tutti questi anni, introducendo criteri di equità e di giustizia sociale. Insomma si riveda la legge regionale 10 del 2000 , dalla quale, unico caso in Italia, ne è derivata una enorme sperequazione”.
Perché parla di “sperequazione”? Vuole farci qualche esempio concreto?
“La media di salario accessorio percepito da uno degli oltre 2000 dirigenti della Regione Siciliana (lasciamo stare lo stipendio che è già altra e lauta cosa), oltre a essere maggiore della media degli altri (pochi) colleghi delle altre Regioni, è mediamente più alto della media degli stipendi di centinaia di migliaia di lavoratori e di pubblici dipendenti: dall’infermiere, al carabiniere, dal poliziotto all’insegnante dal dipendente comunale al dipendente dello Stato che guadagna, ognuno di questi, appunto, tra 1300 e 1800 euro netti al mese (ma, il massimo solo dopo 30 anni di servizio), ben al di sotto, quindi, di quanto è riservato di salario accessorio a un dirigente regionale”.
Crede che basti intervenire sul salario accessorio dei dirigenti per risolvere i problemi economici della Sicilia?
“Assolutamente no. Ho in mente, semmai, un pacchetto di interventi che riguardano la pubblica amministrazione. Partendo, intanto, dal taglio degli stipendi d’oro nella burocrazia regionale. Il tetto va abbassato da 250 mila a 150 mila euro. Si pensi che il presidente del consiglio dei ministri guadagna 116 Mila euro annui”.
A dire il vero, il tentativo del suo compagno di partito Antonello Cracolici, anche in occasione dell’ultima manovra, di porre un tetto di 200 mila euro lordi è stato bocciato dall’Assemblea.
“Bisogna insistere. E puntare su merito e qualità. I dirigenti, ad esempio, dovranno avere contratti a termine e basati sui risultati operativi valutabili anche dai cittadini. Bisogna eliminare la figura del dirigente a tempo indeterminato nel settore pubblico regionale”.
Ma contratti a termine o limitazioni di questo tipo non rischiano di porre la burocrazia nella mani della politica?
“Io non credo. Anzi, le dico di più: va abolita anche la clausola di salvaguardia per i dirigenti generali cessati prima della scadenza del contratto per effetto dello spoil system (che oggi assicura almeno un anno di retribuzione totale da dirigente generale senza svolgere le funzioni); abolire la voce contingenza per i Dirigenti Generali: oggi si tratta di una cifra variabile da 600 a 700 al mese per ciascuno”.
Sembra che lei ce l’abbia solo con i dirigenti…
“Credo che anche la distribuzione delle risorse all’interno della burocrazia regionale vada riequilibrato prevedendo, magari, nel sistema di incentivi per i dirigenti la retrocessione di una quota, da attribuire ai dipendenti del comparto non dirigenziale, che si siano distinti o che comunque abbiano fattivamente e utilmente partecipato nelle azioni realizzate per il raggiungimento degli obiettivi assegnati agli stessi dirigenti. Ma le mie proposte non si fermano allo status dei dirigenti…”.
E quali sarebbero le altre?
“Ritengo ad esempio necessaria anche l’abolizione dell’Aran Sicilia, visto che l’ultimo contratto di categoria firmato risale al 2007, e nonostante ciò si mantengono otto dipendenti di cui tre dirigenti inutlilzzati. Le funzioni potrebbero passare al dipartimento della funzione pubblica. Poi, bisognerà anche intervenire sui permessi e i distacchi sindacali nella Regione Siciliana e negli enti regionali, che oggi sono calcolati in misura superiore a quanto avviene a livello statale. E alla normativa statale andrebbero equiparati i regionali anche dal punto di vista pensionistico”.
Cosa intende?
“La Sicilia è l’unica Regione d’Italia i cui dipendenti non sono iscritti a fini pensionistici alla ex Inpdap oggi Inps. Bisogna eliminare questa anomalia. Le pensioni rappresentano un peso sul Bilancio regionale con uscite di 500 milioni di euro all’anno. Con una legge regionale del 2009 è stato istituito il Fondo Pensioni Sicilia, ovvero il Fondo di quiescenza dei pensionati della Regione. Il “Fondo pensioni Sicilia” è un ente pubblico non economico che si avvale di circa 110 dipendenti di ruolo dell’amministrazione regionale, che sono stipendiati dalla Regione. Somme che si aggiungono al contributo annuo per spese di funzionamento e organizzazione di 200 mila euro che grava sul capitolo di bilancio dell’assessorato Funzione pubblica. Il Fondo gestito da dipendenti a carico della Regione costa almeno 8 milioni di euro. Bisogna anche abolire la modalità di calcolo della pensione che prevede che la pensione possa essere superiore all’ultimo stipendio percepito”.
Quello che lei descrive è un mezzo ciclone per la burocrazia regionale. Ritiene realistico questo progetto? Ritiene, insomma, che si possa davvero fare?
“Io credo che questo sia il momento delle grandi riforme, che dovranno portare anche alla diminuzione della dotazione organica della Regione Siciliana del 30% per il comparto e del 40% per la dirigenza in un periodo lungo 10 anni, collocando a riposo i lavoratori. Solo questo, consentirebbe alla Regione di risparmiare nell’intero periodo circa 150 milioni, con un risparmio annuo a regime di 26 milioni. Se a questi, aggiungiamo tutti gli interventi di cui le ho detto, il risparmio potrebbe arrivare a circa 50 milioni di euro l’anno, che potremmo in parte utilizzare anche per l’occupazione e le imprese”.
Le ripeto la domanda: ritiene che questo sia un progetto realizzabile?
“Io penso che la Sicilia debba avere nei confronti di Roma lo stesso atteggiamento che l’Italia ha nei confronti dell’Europa. Prima di chiedere un aiuto, insomma, deve dimostrarsi credibile. E se il presidente Crocetta e il suo governo vogliono apparire credibili attorno ai tavoli romani, non c’è molta scelta: devono mettere le mani, finalmente, sui privilegi di certa burocrazia regionale”.
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12 Maggio 2014, 06:00