Se il giornalista scimmietta | si sente minacciato

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10 Giugno 2010, 02:04

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La foto non rappresenta il nuovo presidente dell’Ordine dei giornalisti siciliani, raggiunto dall’improvvisa consapevolezza del compito immane che lo attende. E’ una metafora da prendersi con leggerezza, perché sarebbe l’ora di cominciare a sorridere: troppi, in questa storia delle elezioni per il rinnovo delle cariche istituzionali della stampa, con anteprima di campagna per il voto e successivo dibattito,  si sono comportati col furore delle scimmiette e degli scimmioni che difendono il proprio territorio, mostrando i denti, quando avvertono l’ombra di una presunta minaccia. Grave errore concettuale. Non esistono proprietà private in discorsi talmente delicati. Dovrebbero esserci riflessioni e case comuni, in cui magari litigare  senza  il penoso volar di stracci di questi giorni.

Sbagliato pensare che al lettore non interessi l’argomento delle beghe elettorali dei cronisti.  Sbagliato immaginare che nulla debba sapere delle storie che hanno preceduto, accompagnato e oltrepassato l’elezione di Vittorio Corradino alla presidenza dell’Ordine (per un ripasso ci sono i correlati). Noi raccontiamo i fatti al lettore, quando e se ci riusciamo, e spesso gli facciamo perfino la morale. Il tapino avrà almeno il diritto di una sbirciata in cucina?  Bene. La cucina del giornalismo, in questo momento e non solo in questo momento, sguazza nei rifiuti. E li abbiamo portati dentro proprio noi che facciamo le pulci al candore altrui. Noi, i mitici giornalisti.

E’ utile non addentrarsi qui nelle rivendicazioni cavillose delle parti in causa, più in là riassunte per chi abbia tempo e voglia. Risalendo la scala dei reciproci torti presunti si rischia di compiere tre volte il giro del mondo, invano.  Però si può affrontare quello che, a sommesso parere di chi scrive, è il punto centrale della questione. Il dramma dei giornalisti siciliani (non tutti, per fortuna)  sta nell’assenza di pubblico o di lettori. Non che non ci siano. Ci sono, eccome. E sono tutti lì – sempre siano lodati – in attesa di una parola chiara. E’ stato il cronista, casomai,  ad abbandonarli, perché non li percepisce più.

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Due sono essenzialmente le cause delle mutilazione, dell’abbandono. O il giornalista è bravo, ma dimora presso giornali che non amano le notizie  (capita, capita) e dunque finisce col perdere l’allenamento al confronto. O è un maggiordomo del potere, perché ha incarichi, prebende, amicizie e zone di rispetto. In entrambe le situazioni, la professione vive in uno stato di cattività. Scimmiette dietro le sbarre che considerano la propria prigione alla stregua dell’unico spazio esistenziale da difendere, quando sarebbe meglio una tentata evasione alla (ri) scoperta del vasto mondo dei “magnifici illusi” che danno ancora credito alle parole stampate sui giornali.

Invece no, meglio regnare in carcere che respirare l’acre odore della libertà. E il nesso ci pare congruo. Esiste, infatti,  un legame stretto tra il giornalismo che non riesce a trovare percorsi luminosi e condivisi e il giornalismo che non sa più farsi amare dalle persone. Entrambi soffrono della medesima evanescenza di orizzonti e credibilità. Entrambi soffocano perchè hanno smarrito la concezione vocazionale e le  disinteressate carte in regola del mestiere più bello del mondo. Entrambi hanno perso l’amore per il lettore, la dignità dei gesti alla luce del sole, dei comportamenti che devono soddisfare, in ogni frangente,  la giusta fame di pulizia morale del pubblico pagante, sì, sempre il lettore.

Questo non è un giudizio tranciante sui colleghi in lizza per la presidenza, né sui molti in ottima fede, che almeno hanno affrontato un aspro dibattito su Livesicilia. Chi scrive non ha i titoli per emettere sentenze nei confronti di chicchessia. Ma stiamo in questa professione perché l’amiamo, perché l’abbiamo scelta nonostante le difficoltà e le tempeste. E vederla ridotta a una disputa da scimmiette in gabbia fa male allo stomaco e agli occhi, prima che al cuore.

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10 Giugno 2010, 02:04

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