27 Aprile 2010, 17:54
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Chi si era più ricordato che esistessero le lucciole prima che Pasolini ci dicesse che stavano scomparendo? Se non ci fosse stata la “barbona” di via Notabartolo a Palermo chi si sarebbe ricordato dell’albero di Falcone dopo Falcone?
Evapora quindi (e noi siamo contenti) come la condensa dei coperchi la post mafia dell’albero, quella dei pensionati professionisti dell’antimafia, un po’ come i cattivi maestri del 1968 che vogliono la rivoluzione permanente. Per fortuna l’albero di Falcone non è stato vandalizzato da criminali, quindi non serve la smorfia mafiosa, ma è stata spogliato dalle lettere, da una povera donna che paradossalmente di quell’albero era stata la custode, la bambina grande che l’abbeverava con parole , improperi, gli stessi di chi non ha casa e asciugamani che assorbano il sudore di chi delira e di chi cerca d’incollare i ricordi e un senso.
E’ stata lei a spogliare le foglie di una generazione scorsa e le belle parole che da tanto non fiorivano. Ma ciò è bastato a risvegliare gli stereotipi, ad aprire il vaso di Pandora e immaginare guerre di mafia come in Veneto alcuni mesi fa, quando un pacco arrivato alla regione fu fatto brillare. C’era già chi pensava alle Br, ai Nar, al terrorismo nero. In realtà erano semplici regali natalizi dell’Enel. Tutto questo non vuol dire che la mafia non esiste o che vedere film e leggere libri serva a fomentarla. La mafia è cosi reale che non occorrono professionisti del racconto, bastano alcuni telefonini con videocamere a mostrarla. E’ Saviano stesso a spiegare la componente esibizionistica della Camorra; la sua penna è stata la registrazione di un fenomeno, il sismografo di un terremoto visibile che va continuamente tenuto sotto controllo.
Non servono però i retroscenisti, i complottisti o meglio ancora i maccartisti della mafia quelli che la invocano per poi caderci dentro.
L’indignazione e la speranza sono fiaccole che vanno tenute accese pure di notte e non solo durante le cerimonie, sono come la candela che la vedova s’ostina a mantenere viva in un angolo per perpetuare il ricordo, il fuoco di un giacimento che non deve spegnersi. Però pure Falcone sapeva che colui che lavora di testa, non ha bisogno dello schiamazzo che tutto dice per arrivare a nulla. Un uomo che sbroglia i nodi ha bisogno di tempo per cercare il filo che scioglie, deve chinare il capo sulle carte per trovare “la maglia rotta, l’anello che non tiene”.
Forse per questo sarebbe stato più giusto prima di suonare le fanfare, guardare la platea, infatti è bastata una videocamera a sbiancare il nero, insieme alla testimonianza di una donna che lo stesso pomeriggio dell’accaduto aveva telefonato ai carabinieri.
Eppure dovremmo ringraziarla questa “barbona”, perché nel paese dalla lapidi facili – come diceva Flaiano- ma dal pensiero difficile, il suo gesto è stato come il capitombolo del bambino per avere una maglia nuova. Mettere a nudo, a volte serve più della memoria per dovere, più della festa dell’albero con
tanta carta consumata. E’ servito alla città di Palermo, alla Sicilia, all’Italia come un esame, un salasso che ha fatto riscoprire che la primavera è una stagione di mezzo tra l’inverno e l’estate e che non bisogna mai togliere la maglia della salute: che è la memoria della febbre e la protezione dell’estate.
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27 Aprile 2010, 17:54