Se vuoi lavorare,| devi improvvisare

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01 Giugno 2014, 08:49

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C’erano una volta i choosy, gli sfigati, i fannulloni, i bamboccioni e i poco occupabili. Oggi molti di loro hanno fatto la valigia e se ne sono andati. Il Rapporto annuale dell’Istat 2014 parla chiaro: circa 100mila giovani, negli ultimi cinque anni, se la sono data a gambe levate. È finita dunque l’era del “è meglio prendere la prima offerta che capita” come diceva Elsa Fornero. Vai a scovarla questa prima offerta. Neanche l’ombra. Chi resta in Italia deve fare i conti con una realtà grottesca: per lavorare devi pagare. Stage, master, corsi di formazione, di aggiornamento, e chi più ne ha più ne metta, con il risultato di essere i primi della classe, ma gli ultimi sul campo. E allora per chi è costretto a restare, oggi c’è solo una cosa da fare: il lavoro bisogna inventarselo. E di sana pianta. Addio titoli di studio. Benvenuta improvvisazione, una caratteristica fondamentale se si vuole sopravvivere alla crisi, trovare lavoro e magari, perché no, guadagnare anche qualcosa.

Per non restare disoccupati, può capitare di fare scelte non convenzionali, ma necessarie. Come quella che ha fatto Giorgio, 32 anni, baby sitter a tempo pieno: un mestiere che ha “rubato” a sua cugina. “Quando mio padre è scomparso, mi sono dovuto assumere le mie responsabilità – dice – ho fatto colloqui e inviato curriculum, ma nessuno mi ha mai risposto. Mi proponevano soltanto stage e master. Questo è l’unico paese dove chi cerca lavoro deve pagare. Da noi chi non vuole fare il disoccupato ha soltanto due scelte: emigrare o studiare. Io mi sono un po’ stufato di studiare all’infinito. Tutti che vogliono formarmi, prepararmi, ma per fare cosa? Alla fine cosa metto nella pentola? Ho chiesto a mia cugina di inserirmi nel giro delle sue conoscenze. Faccio il baby sitter e ogni volta sono terrorizzato. La prima volta è stato un disastro. A un bambino ho attaccato il pannolino con lo scotch”.

Insomma, in tempo di crisi gli uomini si reinventano un mestiere pescando tra le nicchie femminili e le donne in quelle maschili. Gli errori non si contano. L’improvvisazione ha i suoi lati negativi. Ilenia, ad esempio, è un’autista improvvisata. Ricorda ancora la sua prima volta: “Stavo entrando nel parcheggio sotterraneo di un centro commerciale insieme alla cliente e non so come, ma mi sono vista chiudere la barra sulla mia auto. Da quel giorno ho imparato che bisogna sempre prelevare il ticket di ingresso”. Ex centralinista, Ilenia impiegava due ore per raggiungere il posto di lavoro. “Un giorno ho pensato che visto che dovevo stare tanto tempo in macchina, tanto valeva farmi pagare. Essendo donna, la gente è convinta che io non sappia guidare. Ammetto di avere difficoltà a parcheggiare e problemi con il cambio delle marce, ma per il resto sono solo pregiudizi”.

Pregiudizi che vanno affrontati a testa alta. D’altra parte oggi bisogna essere intercambiabili. È il mercato del lavoro che ce lo chiede. E, in fondo, in ognuno di noi coabitano il maschile e il femminile. Ce lo ha insegnato anche Conchita Wurst, personaggio drag queen interpretato da Thomas Neuwirth, che ha vinto l’Eurovision Song Contest 2014 a Copenaghen. Conchita ha dimostrato che si può essere liberi di transitare tra un pelo e una minigonna abbattendo ogni tipo di pregiudizio.

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Secondo gli specialisti, comunque, inventarsi un lavoro non è poi un’impresa così impossibile. E il primo posto per ingegno e coraggio se lo aggiudica Corrado, addetto alla pulizia delle abitazioni eterne. In altre parole, delle cappelle dei defunti. “E cosa devo fare? Passo gran parte del mio tempo nei cimiteri – dice – ma è un lavoro, mi pagano e le foto dei proprietari delle cappelle sono rassicuranti”. Italiani. Popolo che vede sempre il bicchiere mezzo pieno. Come Roberto che è felicemente sposato e che per vivere fa la coda alla posta e in banca. “Io non posso aspettare che questa benedetta crisi passi. Faccio la coda per conto degli altri. Ritiro anche le pensioni agli anziani. Alla fine è un lavoro come un altro”.

Dunque, ricapitoliamo: donne e uomini diventano intercambiabili, si reinventano nuove identità e nuovi mestieri. Ma, soprattutto, improvvisano. Si formano da soli. Fanno esperienza sul campo. C’è una bella fetta di giovani trentenni, quarantenni e cinquantenni che non è più disposta a pagare per trovare lavoro, che ha smesso di credere alla favola del curriculum inviato per posta, alla logica della lotteria dove solo uno su mille ce la fa, e ai colloqui con un recruiter assunto per convincerti ad accettare le condizioni più degradanti. Oggi c’è solo una regola che vale: se vuoi lavorare, devi improvvisare.

 

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01 Giugno 2014, 08:49

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