Selfie, che (insana) passione!

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27 Aprile 2014, 07:49

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È l’ultima tendenza sui social network. Si chiama selfie e consiste nel pubblicare su Facebook e Twitter i propri autoscatti. Su questa testata, Daniela Vitiello ha già dedicato brillanti articoli alla manìa che ha contagiato personaggi pubblici, da Madonna “nature” alla Colombari che esibisce i lividi, dalla languida Tatangelo al trendissimo Lapo nazionale, al selfie di star planetarie scattato da Ellen DeGeneres durante la cerimonia degli Oscar, capace di bloccare per qualche minuto Twitter, che in un’ora ha raggiunto il milione di retweet, diventando la foto più ritwittata della storia dopo l’insediamento di Obama per il secondo mandato nel 2012.

Secondo l’Oxford Dictionary “selfie”, che deriva dall’inglese self-portrait, è la parola dell’anno 2013; la definizione è “autoscatto, solitamente realizzato con smartphone o webcam e caricato sui siti di social media”. E, a proposito di tecnologia che avanza, in Sicilia sono arrivati i selfie 3D, ottenuti dal laboratorio Scanlab nato all’interno del primo FabLab siciliano, a Palermo. Il team palermitano ha creato i primi selfie tridimensionali che riproducono figure umane in miniatura con il supporto della stampante 3D e ottimizzando alcuni processi di rilievografia e fotogrammetria, importando un fenomeno nato in Giappone nel 2012, quando un piccolo studio fotografico, Omote 3D, ha iniziato a creare i minicloni partendo dalle riproduzioni fotografiche.

Certo, da quando la moda dell’autoscatto ha travolto il web, su cui impazzano oltre alle foto della gente comune, quelle dei vip che ne sono letteralmente ammaliati grazie alle infinite possibilità di autopromuoversi, non è che ci sia bisogno di consultare il dizionario per sapere in cosa consista una pratica comune a chiunque abbia un minimo di competenza digitale. Che ci si proponga spiritosi e ammiccanti, sensuali o romantici, a casa o in viaggio, gli autoscatti sono un fenomeno virale, incentivato dalla voglia di raccontare (proprio a tutti) qualcosa di sé, di mostrarsi in ambiti socialmente accattivanti, e dall’inconfessato bisogno di ottenere i like dagli amici del web. Se trucchetti e acrobazie posti in atto per ottenere un selfie decente sono fin troppo facilmente ridicolizzabili, tuttavia la diffusione di tale comportamento cela malamente quell’ansia di approvazione che condiziona la massima parte delle nostre azioni sui social network.

La tradizione dell’autorappresentazione nasce nobile e sommamente elitaria. Basti pensare agli autoritratti dei grandi pittori del passato, ai quali, dagli inizi del Novecento, ha fatto seguito la raffinata cultura degli autoscatti fotografici, di norma con protagonisti illustri. L’introduzione, prima, dello specchio reflex nelle macchine fotografiche, e l’utilizzo di massa degli smartphone poi, hanno ai nostri giorni garantito ai selfie una popolarità impensabile nonostante critiche e scandali, il cui segreto risiede nel fascino che esercita la possibilità di studiare nei minimi dettagli la propria foto, e ritoccarla qualora non ci piaccia, per rendere noi stessi più simili all’immagine che vorremmo avere.

Ennesima espressione, dunque, di una società nella quale ciò che conta è apparire?

Motore propulsivo delle foto è di certo la condivisione sui social: senza Facebook, Twitter, Instagram e quanti altri ospitino gli autoscatti, questi non avrebbero ragione, né modo, di esistere; lo stesso neologismo nasce dalla dichiarazione, su un forum australiano, di un utente che, pubblicata dopo una caduta dalle scale (sic!) la propria foto in primo piano chiese scusa: era sfuocata perché era “un selfie”. Si era agli albori di una nuova frontiera.

Ormai, si scatta e riscatta fino a quando non si sia soddisfatti del proprio aspetto. Le tecniche per la buona riuscita della foto sono alla portata anche dei meno abili: inquadratura dall’alto, luci azzeccate, pose da modelli consumati. Un altro tipo di selfie è quello ottenuto fotografando con lo smartphone il protagonista allo specchio. E se pensate che la parte del corpo immortalata sia prevalentemente il viso, al massimo il mezzo busto, ebbene… vi sbagliate. Abbiamo legsie (protagoniste le gambe), helfie (foto dei capelli), belfie (foto del sedere), welfie (da work out, foto che ritraggono in palestra), ma siamo in attesa di ulteriori neologismi che suscitino l’approvazione delle tribù digitali.

Un altro genere di selfie può dar luogo a risvolti negativi: se si indulge ad autoscatti hard, specie se si è belli e famosi, si può diventare prede di abili hacker che violano gli smartphone per rubare e diffondere le immagini, anche se talora il furto d’identità nasconde solo una trovata pubblicitaria. Peraltro la condivisione di scatti privati pubblicati per puro autocompiacimento sta diventando una nuova ossessione mediatica. Il ‘sex-selfie’ sembra essere, secondo il direttore della comunicazione di AshleyMadison.com, Christoph Kraemer, lo step successivo al selfie in quanto pratica sociale diffusa; i sexselfies postulerebbero, come spiega il sessuologo Eric Anderson dell’Università di Winchester, una rinnovata liberazione, e proverebbero che le tecnologie digitali stiano contribuendo a creare una società sessualmente più aperta specie per i giovani. A questa visione idilliaca fanno da contraltare i dati relativi alla crescita dei reati a sfondo sessuale e all’aumento di violenze e di stalking. Non solo. Cresce anche il “grooming”: minacce e adescamenti di minori attraverso internet.

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Il rischio più divertente mai postulato per i selfie risiede nell’ipotizzata condivisione dei pidocchi. Una operatrice del centro sanitario statunitense Nitless Noggings, ha affermato che i parassiti avrebbero come vettore privilegiato quel continuo avvicinarsi delle teste per scattare selfie di gruppo. A smentire la notizia ci ha pensato la Harvard School of Public Health di Boston, che per amore della verità scientifica ha azzerato le potenzialità di un efficace deterrente.

E poiché i social media sono ormai oggetto imprescindibile degli studi sul comportamento umano, è nato Selfiecity, un ambizioso progetto di data-visualization e sociologia che consiste in una ricerca sulle caratteristiche dei selfie in cinque città globali i cui dati vengono resi disponibili attraverso una dashboard interattiva. Anche il mondo della pubblicità si serve dei selfie. Secondo Theresa Cha, una portavoce di Samsung contattata dal Washington Post, il recentissimo selfie della star del baseball David Ortiz con Obama, realizzato con un Galaxy Note 3, è stato scattato a fini pubblicitari: Ortiz aveva firmato un contratto con Samsung il giorno prima di visitare la Casa Bianca, e si è accordato per la foto con alcuni membri di Samsung Mobile, la divisione che si occupa della vendita dei telefoni. Samsung ha poi ritwittato dal profilo americano di Samsung Mobile la foto scattata da Ortiz.

Questa storia appare una dimostrazione della degenerazione di un mondo nel quale nulla è mai come sembra; in compenso, può essere peggiore di come appare. C’è chi si autoscatta dietro ingenti compensi, come una popstar nostrana testimonial di un’azienda di biancheria, che dopo vaste e varie “rivelazioni” sui propri selfie dal water di casa rivendica sul web di “avere una testa”; e chi, più modestamente e a titolo gratuito, si ritrae per avere conferme, per piacere, per “ritoccare” il proprio look in base alle preferenze espresse dal popolo degli internauti.

Sembrerebbe una “democratizzazione” dei canoni estetici: basta con la perfezione, mi piaccio, e piaccio, così come sono! Ma uno studio della American Psychiatric Association, offuscando tanta serenità di giudizio, rivela che chi ha la mania del selfie soffre di una patologia mentale (selfitis); il desiderio ossessivo-compulsivo di realizzare autoscatti per metterli in rete rivela il bisogno di compensare la mancanza di autostima e di colmare lacune nella propria intimità. Gli psichiatri valutano la gravità del disturbo secondo una “scala”: i “borderline” si limitano a 3 scatti al giorno, mentre i “cronici” pubblicano online più di 6 selfie al giorno. Non c’è cura, ma viene consigliato di tenere sotto controllo la dipendenza, come le altre patologie contemporanee, con la psicoterapia cognitivo-comportamentale.

E, per approfondire ancora sul piano sociologico l’analisi del fenomeno selfie, sembra confermato che non abbatta, anzi confermi, gli stereotipi di genere. A questo contribuiscono proprio le donne, in quanto sono le maggiori utilizzatrici dei social. A fornire i dati è la ricerca “Instagram and Gender Worldwide” realizzata dalla platform Nitrogram, che rileva che in paesi come l’Arabia Saudita, ove le donne usano poco il social network, la predominanza di selfie è maschile, mentre in paesi dove le utenti donna di Instagram sono la maggioranza (ad esempio la Thailandia, il Sud Est asiatico e la Russia), prevalgono quelli femminili che, tuttavia, a livello di followers, non eguagliano il successo dei post maschili: le donne si fotografano, ma non si votano!

In chiusura, come tacere del celebre selfie di Luca Parmitano a bordo della ISS? L’astronauta siciliano, rimasto sei mesi sulla Stazione, quando ha effettuato le attività extraveicolari, meglio note come “passeggiate nello spazio”, nel postare l’immagine su Twitter ha scritto “questo li batte tutti”, e, come ha avuto modo di dichiarare a “Che Tempo che Fa” sarà difficile superare il suo selfie spaziale, quanto meno per la location!

A questo punto, si attendono selfie da E.T.

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27 Aprile 2014, 07:49

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