Sequestrati i beni |del pentito Messina

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07 Ottobre 2014, 11:48

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TRAPANI – È stato uno dei primi “colletti bianchi” a scegliere a metà degli anni ’90 di collaborare con la giustizia, permettendo l’evolversi delle indagini sulle connessioni nel trapanese tra mafia, politica e imprese. Nonostante questo però oggi subisce il sequestro dei beni. Si tratta del commercialista Giuseppe Messina, 66 anni. La Dia ha proposto al Tribunale delle misure di prevenzione di Trapani il sequestro dei beni, una palazzina, una società commerciale, auto, moto, titoli e conti correnti. La proposta di sequestro, accolta a luglio scorso dal Tribunale delle misure di prevenzione (in composizione feriale) presieduto dal giudice Roberto De Simone, si basa sulla normativa antimafia che stabilisce la legittimità del sequestro anche quando si tratta di soggetto privo di pericolosità sociale, ma che in un certo periodo pericoloso lo è stato.
Giuseppe Messina nel 2006 ha patteggiato una condanna a 20 mesi per concorso esterno in associazione mafiosa. Una condanna dichiarata già estinta. Un reato che risale ad un periodo tra gli anni ’80 e 90 quando Messina era “consigliere” della famiglia mafiosa trapanese, vicinissimo al capomafia dell’epoca, Vincenzo Virga, addirittura in grado di sedere allo stesso tavolo con il capo dei capi di Cosa nostra, Totò Riina. Vicende raccontate dai collaboratori di giustizia come il mazarese Vincenzo Sinacori, ma confermate e ulteriormente approfondite dallo stesso commercialista che ha disvelato la rete dei collegamenti tra mafiosi potenti, come l’attuale latitante Matteo Messina Denaro, e il mondo imprenditoriale trapanese. È pur vero che ad un certo punto la sua collaborazione si è fermata a proposito dei rapporti tra mafia e politica. Messina tra l’altro è stato sentito come teste nell’ambito dei procedimenti contro il senatore Andreotti, il senatore trapanese D’Alì (dove fu sentito come teste della difesa negando sostegno elettorale di Cosa nostra) e nel processo palermitano contro Pino Giammarinaro (nel quale si avvalse della facoltà di non rispondere).
Ma gli stessi investigatori antimafia riconoscono che notevole fu il suo contributo per scardinare le connessioni tra Cosa nostra e il mondo imprenditoriale della Sicilia occidentale. A suo favore c’è anche la certificazione giudiziaria del magistrato di sorveglianza che afferma come da tempo Messina non può più essere considerato soggetto socialmente pericoloso. E non potrebbe essere altrimenti proprio per le sue dichiarazioni che hanno colpito duramente Cosa nostra trapanese. Per la Dia, però, il suo patrimonio affonda le radici nel periodo in cui era un pezzo da novanta della mafia trapanese. Da qui la proposta di sequestro che sarà oggetto di un procedimento che prenderà il via nei prossimi mesi dinanzi al Tribunale delle misure di prevenzione. I suoi beni sono stati affidati adesso alla gestione di un amministratore giudiziario.

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07 Ottobre 2014, 11:48

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