15 Settembre 2015, 06:05
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PALERMO – Il sistema scricchiola. L’inchiesta della Procura di Caltanissetta mostra le falle del meccanismo che regolamenta il sequestro e la confisca dei beni, passando dalla nomina degli amministratori giudiziari.
Come funziona il sistema delle misure di prevenzione? La svolta legislativa arriva nel settembre del 1982 con la cosiddetta legge Rognoni – La Torre. Accanto alle misure di prevenzione personali – ad esempio la sorveglianza speciale – vengono introdotte quelle di carattere patrimoniale, e cioè il sequestro e la confisca dei beni. L’obiettivo è togliere la forza economica ai clan e a chi aveva fatto affari con essi. Nel mirino finisce la cosiddetta imprenditoria mafiosa, senza contare che spesso la figura di boss e imprenditore coincidono. Presupposto della misura di prevenzione patrimoniale è la pericolosità sociale del soggetto. Il paletto decisivo lo pianta la Corte costituzionale, la quale stabilisce che non serve “la prova di un reato di cui il soggetto è ritenuto responsabile, bensì il riconoscimento sulla base di indizi di una pericolosità sociale particolarmente qualificata, intesa come probabilità di commissione di ulteriori reati”. Bastano cioè gli indizi di appartenenza all’associazione criminale.
Nel 2008, una nuova svolta. Fino ad allora una misura di prevenzione patrimoniale era subordinata all’applicazione di quella personale. Bisognava cioè dimostrare l’attualità della pericolosità di chi era accusato di appartenere ad un’associazione mafiosa. Il sistema mostrò due limiti: l’impossibilità, in caso di morte del soggetto sottoposto a misura di prevenzione, di proseguire il procedimento nei confronti degli eredi e lo stop del procedimento qualora fosse venuta meno l’attualità della pericolosità sociale. E così si decise di svincolare le misure di prevenzioni personali da quelle patrimoniali. Da qui il doppio binario che si è spesso registrato in questi anni. Le prove possono non bastare per condannare una persona al carcere, ma risultare sufficienti per colpirne il patrimonio.
Sono il procuratore della Repubblica, il questore o il direttore della Direzione investigativa antimafia ad avviare le indagini che analizzano il tenore di vita, le disponibilità finanziarie, il patrimonio e l’attività economica del soggetto. Qualora dovessero emergere incongruenze – come la sproporzioni fra redditi dichiarati e investimenti e tenore di vita – viene proposta la misura di prevenzione ai Tribunali. E qui entra in gioco la sezione Misure di prevenzione che può emettere dei provvedimenti cautelari: il sequestro preventivo finalizzato alla confisca o la sospensione temporanea dell’amministrazione dei beni. Il primo provvedimento presuppone la pericolosità sociale, il secondo no.
Una volta deciso il sequestro, il Tribunale nomina il giudice delegato e l’amministratore a cui viene affidata la gestione dei beni con il compito – che si scontra con tante difficoltà e con esempi di cattiva gestione – di mantenere intatto il patrimonio a garanzia di un’eventuale restituzione al proprietario oppure di una confisca definitiva. Era previsto che questa figura professionale venisse selezionato da un albo che, però, non è mai stato creato. Neppure con il codice antimafia del 2012. Dunque vige il criterio del rapporto fiduciario con il giudice. La gestione avviene sotto la vigilanza del giudice delegato. Quest’ultimo è il componente del collegio che ha seguito le indagini, conosce gli indizi raccolti e può anche chiedere al Tribunale la revoca dell’amministratore in caso di inadempienze.
Quello che parte con il sequestro è un processo a tutti gli effetti al termine del quale il Tribunale può decidere la confisca nel caso in cui il soggetto non sia in grado di giustificare la legittima provenienza dei suoi beni. Sequestro e confisca possono essere impugnati davanti alla Corte d’appello e infine in Cassazione. Terminato il processo di primo grado, l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, istituita nel 2010 sotto il controllo del ministero dell’Interno, subentra con delle proprie nomine, sempre fiduciarie, all’amministratore giudiziario nella gestione del bene. E sempre l’agenzia, una volta divenuta definitiva la confisca, si occupa anche della destinazione d’uso dei beni. Subito dopo le stragi del ’92-’93 l’associazione antimafia Libera riuscì a presentare una petizione a suon di firme per ottenere una legge che prevedesse l’uso sociale dei beni. Legge approvata nel 1996.
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15 Settembre 2015, 06:05