“Sono socialmente pericolosi” | Nuovo sequestro per i Rappa

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23 Febbraio 2015, 16:52

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PALERMO – Il primo sequestro li aveva colpiti a cascata. Ora si complica la vicenda giudiziaria degli eredi di Vincenzo Rappa. C’è una nuova misura di prevenzione patrimoniale e riguarda direttamente Filippo Rappa e i figli Vincenzo Corrado e Gabriele. Gli imprenditori vengono bollati come “socialmente pericolosi”. Contestualmente la Procura, oltre al sequestro, ha chiesto la misura personale dell’obbligo di soggiorno che passa ora al vaglio dei giudici.

“È lecito ritenere che tali soggetti, nel momento in cui si sono prestati a tale condotta agevolatrice – scrive il Tribunale riferendosi ai passaggi societari dal nonno al figlio e ai nipoti – dovevano essere al corrente delle articolate vicende giudiziarie relative al congiunto”. Ed ancora: “Essi non avevano disponibilità economiche lecite idonee a giustificare la legittima provenienza dei beni a loro intestati”.

Il collegio, che ha accolto la richiesta della Procura, si concentra sui passaggi societari della famiglia e sottolinea, ad esempio nel caso di Trm, che “Filippo Rappa vende ai figli nel ’97 le quote societarie due mesi prima di venire raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere assieme al padre (Filippo Rappa sarà poi scagionato ndr)”. Un’operazione che, secondo i giudici, “risulta priva di giustificazione finanziaria lecita”. Gli eredi non avrebbero avuto i soldi necessari – circa 300 milioni di lire – per portare a termine l’operazione. Così come non convince il passaggio successivo quando, ad un mese dall’arresto, i “figli fondano Telemed poco più che ventenni e senza un adeguato reddito di provenienza lecita”.

Vincenzo Rappa era stato condannato, con sentenza definitiva, a quattro anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Era un imprenditore, scrissero i giudici che lo condannarono, in affari con Cosa nostra. Da imprenditori edile costretto a pagare il pizzo era diventato un punto di rifermento per potenti famiglie mafiose come quelle della Noce, di Resuttana e dell’Acquasanta. Come previsto dalla legge sulle misure di prevenzione gli investigatori della Dia, dopo la condanna, hanno esteso le indagini agli eredi, chiudendole al limite della scadenza temporale. E così si è arrivati al primo sequestro.

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Successivamente il pubblico ministero Dario Scaletta aveva depositato alcuni documenti rinvenuti nella sede della Simsider, una delle società sequestrate. Tra questi, una lettera con cui Vincenzo Rappa avrebbe ringraziato il nipote Vincenzo Corrado per la disponibilità e l’aiuto ricevuto negli affari. E gli avrebbe pure regalato una somma di denaro che si aggirerebbe sui tre milioni di euro. Vincenzo Corrado Rappa, dal canto suo, aveva replicato depositando anche lui, contestualmente, una lettera in cui il nonno lo accusava, in sostanza, di avere scelto una strada imprenditoriale diversa.

Ora è scattato il nuovo sequestro disposto dalla sezione Misure di prevenzione (presidente Fabio Licata, giudici a latere Lorenzo Chiaramonte e Claudia Rosini). Ecco i beni intestati o riconducibili a Vincenzo Corrado e Gabriele Rappa: ditta individuale Vincenzo Corrado Rappa, Telemed Spa, Elcan srl, Pubblimed Spa, Sicilia 7 srl, Simsider srl, Fin Med srl, Med Gropu srl, Kalesa vega srl, Museum srl. Questi, invece, quelli equestrati a Filippo Rappa: Villa Heloise srl, Cipedil srl, Rafil srl, Crc Società coperativa, Società Cooperaiva Val di Suro, Gei Generalimprese. Si tratta delle stesse società già sequestrati all’inizio che continuano ad operare in amministrazione giudiziaria. Resta invariata la posizione di altri due fratelli, Sergio e Maurizio Rappa, non colpiti da alcun provvedimento, difesi dagli avvocato Mauro Torti e Franco Marasà.

Stupore per il provvedimento esprimono i difensori di Vncenzo Corrado e Gabriele Rappa, gli avvocati Alberto Alessandri, Alberto Stagno D’Alcontres, Simone Lonati e Giovanni Di Benedetto: “Quel che più sorprende è che il nuovo vincolo cautelare assume a fondamento la ‘pericolosità sociale’ dei propri assistiti, giudizio, che seppure formulato ai soli fini cautelari, è inconciliabile con la realtà dei fatti: i dottori Rappa sono due noti e stimati imprenditori, rimasti estranei a qualsivoglia vicenda giudiziaria e che, sino ad ora, erano stati coinvolti in un procedimento di prevenzione quali eredi del nonno Vincenzo Rappa, deceduto nel lontano 2009. Colpisce, oltre ai modi, i tempi del provvedimento, che interviene a distanza di un anno da quello precedente (basato, lo si ripete, su valutazioni totalmente diverse) ed in prossimità della pronuncia della Cassazione sui ricorsi proposti dalle difese, in ordine, tra l’altro, all’insussistenza della qualità di eredi in capo ai dottori Rappa e alla conseguente improcedibilità dell’azione avviata nei loro confronti dal Tribunale di Palermo. Infine, non si comprende perché il Tribunale, nell’emettere il nuovo sequestro, abbia ignorato tutti gli scritti e i documenti prodotti dalla difesa nel procedimento di prevenzione originario – che provano l’assenza di qualsivoglia collegamento fra il patrimonio dei nipoti e quello del nonno – ma abbia, invece, tenuto conto solo di quelli della Procura. Entro un sistema normativo che comprime all’inverosimile i diritti della difesa, non consentendo l’immediata impugnazione di provvedimenti cautelari incidenti così pesantemente su beni sorretti da garanzia costituzionale, si conferma con serenità l’infondatezza di ogni presunzione formulata dal Tribunale e si auspica che la vicenda processuale possa essere definita in termini assai rapidi”.

Sulla stessa lunghezza d’onda le parole dell’avvocato Raffaele Bonsignore, difensore di Filippo Rappa: “Aveva ragione Giuseppe Tomasi di Lampedusa quando esclamava che in Sicilia ‘se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi’. L’ingegnere Filippo Rappa era stato destinatario, nel marzo 2014, di una misura di prevenzione patrimoniale, ai sensi del comma 3° dell’art. 18 D.Lgs. n. 159 del 2011, che recita testualmente: ‘Il procedimento di prevenzione patrimoniale può essere iniziato anche in caso di morte del soggetto nei confronti del quale potrebbe essere disposta la confisca; in tal caso la richiesta di applicazione della misura di prevenzione può essere proposta nei riguardi dei successori a titolo universale o particolare entro il termine di cinque anni dal decesso’. La difesa dell’ingegnere Rappa, tuttavia, aveva – mediante ricorso per cassazione – impugnato il provvedimento del Tribunale di Palermo, sezione misure di prevenzione, eccependo l’improcedibilità della suddetta misura per mancanza dei presupposti di legge, atteso che erano stati sottoposti a sequestro beni di cui egli era divenuto titolare e proprietario non per successione, in quanto da lui acquisiti prima della morte del padre. Inoltre, con il ricorso per Cassazione, l’ingegnere Rappa aveva segnalato che i beni ereditati dal padre (alcune quote di società) erano stati acquisiti da quest’ultimo in un momento in cui – per come accertato con sentenza divenuta irrevocabile – egli era stato vittima dell’associazione mafiosa denominata Cosa Nostra, che lo aveva vessato sottoponendolo ad estorsioni, intimidendolo con diversi attentati esplosivi. Nell’attesa della decisione della Corte Suprema di Cassazione, la Procura della Repubblica di Palermo non ha esitato – così di fatto vanificando il ricorso – a modificare strategia ed a richiedere al Tribunale l’applicazione della misura di prevenzione personale nei suoi confronti ed, ancora una volta, il sequestro dei suoi beni. In altre parole, la difesa dell’ingegnere Filippo Rappa ha impugnato il decreto di sequestro emesso dal Tribunale, in quanto emesso in violazione della relativa disciplina legislativa e, nelle more della decisione, non si è indugiato a sequestrare nuovamente gli stessi beni, trasformando l’ingegnere Rappa da erede in persona ‘socialmente pericolosa’. Si tratta di una strategia processuale quantomeno anomala se è vero che tale ‘trasformazione’ è avvenuta a distanza di un anno dal provvedimento di sequestro e soltanto subito dopo il deposito del ricorso per cassazione. Pure questa volta Tomasi di Lampedusa non è stato smentito”.

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23 Febbraio 2015, 16:52

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