17 Ottobre 2010, 00:18
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Perché se la parola “suicidio” è perfino difficile da pronunciare senza un minimo disagio, tanto vale metterla subito in gioco. E forse fa ancora più strano parlare di “prevenzione al suicidio”. Allora è più semplice affidarsi alle parole di chi questa causa la porta avanti, con l’Afipres (Associazione Famiglie Italiane Prevenzione Suicidio), che per mercoledì 20 ottobre prossimo organizza per le 9 un convegno allo Steri di Palermo, “Il disagio individuale, e crisi sociale nel post-moderno”: “Si fa fatica a parlarne, è un tabù della nostra società. Molte volte per questo non si riesce a sfondare il muro del pregiudizio”. Lei è Viviana Cutaia, psicologa. L’Afipres, appunto. Un’associazione nata a Palermo nel 1995. Come sede un bene confiscato alla mafia, nel quartiere Cep. Dodici volontari che portano avanti il lavoro, aiutati dai ragazzi del servizio civile volontario che ogni anno si passano il testimone. Le stanze dell’Afipress ospitano un centro d’accoglienza per gli adolescenti ed un centro aggregativo al quale partecipano anche le famiglie. Un centinaio di persone che si incontrano, lavorano per disinnescare prossime o eventuali situazioni di crisi. Poi e soprattutto c’è una linea diretta, il Telefono giallo (800 809 999), che accoglie le richieste d’aiuto di chi sente vicina la tempesta. L’unica help-line in Italia. Un numero che riceve in media trenta telefonate al giorno; i casi di più immediata gravità vengono passati “nel massimo rispetto della privacy” al 118.
“È un servizio gratuito – continua la dottoressa Cutaia – che se fosse pubblicizzato a dovere, forse, avrebbe un bacino d’utenza maggiore”.
Ma bisogna anche mettere a fuoco i termini del disagio di cui stiamo parlando: “La fascia maggiormente a rischio è quella adolescenziale, anche se l’età media di chi si mette in contatto col Telefono giallo è più vicina ai trent’anni, specialmente per la mancanza di un lavoro. Questi ultimi però sono più strutturati”. Secondo Cutaia l’attenzione va maggiormente puntata sugli adolescenti: “Sono loro che corrono maggiori rischi, e infatti bisogna fare molta attenzione ai segnali che lanciano, alle loro parole che a volte si traducono in azione. Un esempio è quello degli ‘emo’, tra i quali l’autolesionismo è quasi una moda, una sfida per essere accettati all’interno del gruppo”.
Il nome di Norman Zarcone, il dottorando suicidatosi poche settimane fa lasciandosi cadere da una finestra della facoltà di Lettere in viale delle Scienze a Palermo, a un certo punto viene fuori spontaneamente: “È un caso che scuote le coscienze. Norman ha lanciato un messaggio fortissimo, con la scelta di morire perché non riusciva a trovare un’occupazione adatta ai suoi desideri e al suo percorso – conclude Cutaia -. Può essere d’aiuto a molti giovani che attraversano questa fase. Perché si può sempre imboccare una strada diversa dall’unica che nel momento di crisi sembra possibile, e riscoprire la propria esistenza”. Un impegno, quello dell’Afipres, che si rinnova sempre, anche se “ormai da tempo risentiamo della mancanza di sovvenzioni da parte delle istituzioni, prima riuscivamo a dare un rimborso ai volontari che ci aiutano, ma da cinque anni siamo costretti a affidarci all’autofinanziamento”. La denuncia è di Livia Nuccio, presidente dell’associazione, che chiude: “La prevenzione del suicidio deve potere essere portata all’attenzione dell’opinione pubblica. Non si può fare soltanto clamore quando succede un fatto di cronaca”.
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17 Ottobre 2010, 00:18