17 Giugno 2016, 12:24
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CATANIA – Donne e religioni: un tema che divide, che catalizza l’attenzione, che agita gli animi, che mette in subbuglio le platee. Così come è avvenuto ieri tra il folto pubblico che ha riempito la piccola sala conferenze della libreria La Feltrinelli di via etnea a Catania in occasione della presentazione del saggio di Giuliana Sgrena “Dio odia le donne”. Il nuovo libro della giornalista e storica inviata de “Il manifesto” che pone al centro la figura delle donne nelle principali religioni monoteiste come sostrato culturale difficilmente superabile. L’autrice svela e denuncia nel suo libro tutte le forme di “odio” di matrice religiosa perpetrate per mano degli uomini nei confronti delle donne. Un appuntamento organizzato dal circolo Uaar di Catania e moderato dalla giornalista di LiveSicilia, Melania Tanteri.
”E’ un titolo forte – spiega Sgrena – ma volutamente provocatorio per imporre un dibattito sulle religioni. Io non credo che Dio odi le donne perché sono atea. Lo sono diventata, come spiego nel libro”. Dio Odia le donne è un testo che mira a fornire ai lettori alcuni strumenti per comprendere meglio la rappresentazione del femminile – di ideazione maschile – difficile da estirpare, attraverso racconti e considerazioni frutto di una ricerca personale della stessa autrice e intessuta di sue esperienze dirette. “C’è una prima parte – prosegue – dedicata a un mio percorso personale. C’è una citazione ai libri sacri per dimostrare come nelle religioni monoteiste ci sia una forte discriminazione delle donne, una loro sottomissione all’uomo attraverso la procreazione, il peccato originale, le mutilazioni genitali fino ad arrivare al fatto che le donne non abbiano accesso al sacerdozio”.
La scrittrice si è sempre occupata della condizione delle donne nell’Islam. “Ho frequentato spesso i paesi musulmani e ho avuto modo di verificare la condizione delle donne in certi luoghi. E ho pensato fosse arrivato il momento di delineare un confronto fra le religioni monoteiste perché trovo ci siano molti punti in comune. Il primo: la voce delle donne nelle religioni è considerata come la sua nudità. Se parla è considerata una svergognata. La donna deve tacere, ma se tace non esiste: è cancellata dalla storia. Io credo che questo corrisponda al volere dei maschi che hanno scritto i testi sacri che poi sono gli stessi che hanno scritto i libri di storia. Dove anche quando la donna è protagonista, essa scompare. Non viene ricordata”.
E’ proprio la Vergine Maria quale figura femminile di irraggiungibile perfezione – trasmessa dalla religione cristiana – il modello con cui le donne hanno sempre dovuto confrontarsi. “La raffigurazione delle “figlie di Eva” o “figlie di Maria” che, nei secoli, ha prodotto una cultura distorta del femminile, divenendo alibi del patriarcato e utile strumento per opprimere, per umiliare, per sottomettere. La figura di Eva trasgressiva – dice – e quello della Madonna. Modelli che hanno pesato moltissimo nella cultura cattolica che coinvolge tutti noi, credenti o meno perché è molto diffusa”. Modelli dai quali è scaturita la negazione della sessualità nelle donne come desiderio non lecito tanto quanto lo è invece nel mondo maschile. “L’oppressione maggiore nelle donne – prosegue la scrittrice – per quanto riguarda la sessualità è rappresentata dalla mutilazione dei genitali femminili in certe culture. La donna può avere rapporti solo per procreare. E’ stata praticata dai cristiani, viene ancora praticata in Egitto dai copti e dai musulmani e dagli ebrei falasha. Un fatto che non è mai stato condannato in nessuna religione e da nessun leader religioso. Togliere il piacere alle donne durante l’atto sessuale rappresenta il massimo del controllo”. Un incontro che ha toccato insomma le varie delicate tematiche trattate nel saggio e i risvolti – tragici – che in epoca contemporanea ha la concezione della donna ereditata dagli stereotipi fissati nelle principali religioni monoteiste.
La moderatrice dell’incontro Melania Tanteri si sofferma poi sul fenomeno del femminicidio, considerato da Sgrena come la versione moderna (ma non meno cruenta) del delitto d’onore con cui il maschio rivendica il possesso delle donne. “Rispetto al delitto d’onore – aggiunge Sgrena – ci sono meno attenuanti ma questo non ha impedito ai mariti e ai fidanzati di uccidere donne che rivendicano il diritto di poter fare le proprie scelte. Il femminismo ha permeato la società e permesso che le donne acquisissero una propria coscienza. Ma questo non è ancora possibile a tutte. Ci sono ancora molte donne che non possono lasciare un marito violento perché non sono indipendenti sul piano economico. Siamo in una situazione difficile”.
L’autrice ricorda poi il momento più brutto della sua vita quando il 5 febbraio del 2005 venne rapita da un comando armato di jihadisti mentre si trovava a Baghdad per realizzare un reportage per il manifesto. “E’ stato un momento che ha cambiato la mia vita. Sono stata un mese a contatto con la morte. Ogni volta che sentivo girare la chiave pensavo che fosse arrivata la mia ora. Ma in quei momenti non ho mai comunque sentito il bisogno di convertirmi o di pregare. Il mio pensiero era invece sempre rivolto a Nelson Mandela” – conclude. Sgrena fu liberata un mese dopo grazie all’intervento dei servizi segreti italiani.
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17 Giugno 2016, 12:24